I Sicani: Hiberia e Trinacria – Adraño: Un Dio Indoeuropeo.

I primi abitatori dopo di loro sembra siano stati i Sicani,
a loro dire anteriormente ai Lestrigoni e ai Ciclopi per il fatto
che erano autoctoni, mentre secondo verità erano Iberi scacciati
dai Liguri dal fiume Sicano nell’Iberia
.
Tucidide, La guerra del Peloponneso, libro III,2

Trattando dei Sicani, non si può prescindere da quanto viene affermato in proposito dallo storico ateniese Tucidide. Egli, infatti, sebbene abbia attinto certamente da altre fonti, a noi non pervenute direttamente, è l’unico storico che fa cenno, seppur con una eccessiva semplificazione dovuta al suo esclusivo interesse alla guerra combattuta dai Greci in Sicilia, ad un passaggio del popolo sicano dalla Spagna alla Sicilia. Se lo storico ateniese avesse saputo che i Sicani erano stanziati, nello stesso periodo, anche nel Lazio, forse avrebbe mutato il suo giudizio in riguardo. Avrebbe, piuttosto, valutato la possibilità che questo popolo indoeuropeo, provenendo dal nord Europa, giunto alle Alpi, barriera naturale per l’ingresso nella penisola italica, si sarebbe potuto dividere, come infatti avvenne più tardi nel 110 a.C. per Cimbri e Teutoni, ed in molte altre occasioni, in due o tre tronconi: uno di questi avrebbe scelto di intraprendere la via verso l’Italia, anticipando di millenni Annibale che vi trovò, durante la sua attraversata delle Alpi  gli eredi di quei primi pionieri, parte del quale, a sua volta, si sarebbe stanziato nel Lazio e parte avrebbe proseguito fino in Sicilia; l’altro troncone, continuando il suo percorso, si sarebbe potuto dirigere verso occidente lasciando a sua volta pezzi per strada: in Gallia dove vengono citati da Cesare nel suo trattato, La guerra gallica,  qui li ritroviamo con il nome di Sequani, e poi, finalmente in Spagna citati da Tucidide. Poiché le affinità riscontrate tra i Galli Sequani e gli Italici Sicani sono state messe in evidenza in altre nostre pubblicazioni, qui, per motivi di sintesi, ci occuperemo delle affinità tra i Sicani spagnoli e quelli siciliani dimostrando,  attraverso l’ausilio di prove oggettive, l’apporto di discipline scientifiche quali la comparazione, l’etimologia ecc. come è giusto che si richieda al ricercatore, che i due rami sopra nominati, pur facendo parte del troncone iniziale emigrato durante l’ultimo periodo interglaciale verificatosi intorno al diecimila a.C., percorsero vie separate, come sopra descritto, portando con se il patrimonio culturale comune; patrimonio conservatosi con irrilevanti varianti dovute ad adattamenti locali, fino al secondo millennio a.C. per poi sparire sotto il grave peso della sovrapposizione di differenti culture sopraggiunte dall’Africa e dall’oriente.

ADRANO IL SANTUARIO DELL’AVO SICANO

Se da un lato Tucidide era dunque in errore nel prendere in considerazione una migrazione avvenuta dalla Spagna verso la Sicilia, dall’altro lato, come affermato sopra, era nel giusto quando sosteneva che i Sicani abitassero la penisa iberica in tempi remoti. Infatti, come sopra accennato e come constateremo nei dettagli più giù, i Sicani raggiunsero la Spagna seguendo la costa atlantica con delle inbarcazioni e provenendo dall’estremo nord Europa. Questa tesi viene in parte provata dal fatto che nella parte nord occidentale della Spagna, al confine con il Portogallo, non lungi dalla costa atlantica, esiste un fiume che si chiama Río de Adraño. Il fiume in oggetto scorre presso un villaggio, anch’esso chiamato Adraño, divinità sicana per antonomasia. Il fiume potrebbe altresì essere stato considerato dai Sicani una divinità fluviale quale era lo Spercheo per gli abitanti di Ftia. Quest’ultima ipotesi potrebbe essere plausibile se si prende in considerazione il ritrovamento di una moneta adranita, in Sicilia, proveniente dalla omonima città di Adrano edificata sotto le falde dell’Etna, nella quale viene raffigurata, nel dritto, la testa di una divinità cornuta, fatta corrispondere dagli studiosi alla divinità fluviale (fiume Simeto?) e nel rovescio una lira con la scritta in senso destrorso adranitan. Comunque sia, appare già, a motivo della presenza speculare di due città  che portano lo. stesso nome, inevitabile dal punto di vista culturale e linguistico,  l’accostamento parenterale tra i Sicani della Spagna preistorica e quelli coevi della Sicilia, attribuendo al concetto di coevo un lasso di tempo cronologico abbastanza esteso essendo quella sicana una civiltà plurimillenaria che, per lo meno in Sicilia, vi abitò ininterrottamente e omogeneamente fino alla prima metà del II millennio a.C. Non possiamo far passare inosservata, onde suffragare la tesi della molteplicità delle fasi migratorie  intraprese nel tempo univocamente dai popoli del nord Europa e, dunque, dal popolo sicano considerato un ramo di questi, la presenza del fiume Adrana oggi Eder, in Germania. La presenza di un fiume col nome di Adrana in Germania, luogo quest’ultimo in cui maggiormente si è conservata l’affinità con la lingua parlata dal popolo sicano, come abbiamo evidenziato nell’articolo , Jam akaram la lingua dei sicani, ritornerà utile al fine di comprendere il significato degli appellativi apposti a uomini, fiumi, città, dai popoli del nord. Tacito, raccontando delle gesta del generale romano Germanico e delle sue legioni, fa riferimento a questo fiume attraversato non senza difficoltà dalle legioni. Nel corso della spiegazione circa la formazione dei nomi presso i popoli nord europei, il lettore tenga conto che il sostantivo Ano, che forma il nome composto Adrano, ritorna ancora nel Lazio, regione abitata dai Sicani, a comporre il teonimo sicano Jah-Ano ovvero Giano bifronte. La formazione dei nomi presso i popoli germanici, allora come oggi, avveniva attraverso l’accostamento di più lessemi. Questi potevano essere più sostantivi; un aggettivo e un sostantivo; una preposizione e un sostantivo; un verbo e un sostantivo. Nel caso specifico, i teonimi del siciliano Adrano e del laziale Jahano, ai quali potremmo aggiungervi quello del greco Urano, dell’iraniano Mani, del germanico Manno, dell’indiano Manu ed infine del mesopotamico Anu, sono riconducibili ad una semantica del divino ove l’aggettivo che precede il sostantivo Ano serve a determinare la caratteristica dell’Avo, una dote o una virtù che, posseduta dall’antenato, avrebbe consentito a questi, capostipite della stirpe sicana[1] ,  una volta morto, di superare le prove che gli dèi gli avrebbero posto durante il tragitto  nell’aldilà, superando le quali sarebbe stato ammesso al consesso degli dèi e a loro si sarebbe reso simile. Divinizzato grazie al superamento delle prove, l’Avo avrebbe, da quel momento, rappresentato il protettore della stirpe.  A loro volta, nel loro rigore religioso, i Sicani ritenendosi unici eredi di cotanto antenato, sarebbero divenuti i detentori del sapere, della via mostrata loro direttamente dall’Avo.

Abbiamo constatato, nel corso delle nostre indagini, come sopra affermato, che con il nome Adrano viene  frequentemente indicato un fiume, motivo per cui alcuni ricercatori accostarono l’etimo al significato di acqua, Adrano era cioè, secondo l’opinione di questi studiosi, da identificarsi col dio delle acque, ma come vedremo le cose non stanno in questo modo. In Sicilia vi è un caso di analogia incredibile con la Spagna, come messo in evidenza sopra; infatti in entrambi i luoghi il nome Adrano indica  due città e ivi  vi  scorrono due fiumi o nel caso siciliano, che vi scorreva, essendosi prosciugato, come si evince dallo storico siculo arabo Idrisi il quale fa riferimento ad un fiume che scorreva nella città di Adrano. In Germania, la conversione del nome del fiume Adrana citato da Tacito, nell’attuale Eder, potrebbe trarre origine da una modificazione linguistica avvenuta nel tempo, per cui l’aggettivo Odhr che indica la caratteristica impetuosa del fiume, si sarebbe trasformato in Eder (Edhr?). Il fiume, infatti, potrebbe essere stato aggettivato, a motivo dei fragorosi flussi causati dalle potenti correnti che lo facevano scorrere con violenza, semplicemente “il furioso”, cioè “odhr”. Che l’aggettivo Odhr possa tradursi con furioso lo spiega lo storico  germanico Adamo da Breda che scrisse una storia sui Goti, popolo questo proveniente dalla Scandinavia, odhr,  tra l’altro, afferma lo storico, è uno dei tanti appellativi che venivano utilizzati per caratterizzare Odino, il dio  degli scandinavi, divinità che con quella sicana di Adrano, come abbiamo dimostrato in diverse occasioni, aveva numerose affinità. Di conseguenza, il nome del dio Adrano, liberamente traducibile con “l’Avo furioso”o “il furore dell’Avo”, prenderebbe origine non dall’elemento acqua, ma dalla furia con la quale essa, nei fiumi, scorre nel proprio alveolo e più elasticamente può ritenersi che l’aggettivo odhr, furioso, sia scaturito grazie alla modalità piuttosto violenta con la quale  la divinità si manifestava. L’aggettivo furioso riferito all’Avo, unico caso in cui viene utilizzato, lo si ritrova soltanto in Sicilia, terra in cui la “furia” dell’Avo si manifestava, per i primi abitatori, i Sicani, in mille modi: dai frequenti terremoti provocati dal vulcano Etna ai suoi paurosi boati; dalle lunghe devastanti colate laviche, alle stesse che giungendo fino al mare lo facevano ribollire per finire, in ultimo, con la madre di tutte le catastrofi: l’implosione del vulcano che provocò un  terribile maremoto e la grande voragine della valle del bove. Le onde provocate dal cataclisma, verificatosi secondo le stime dei geologi intorno al quattromila a. C., avrebbe sommerso le città costiere della Palestina. I resti delle città sommerse sono stati in parte rinvenuti dagli archeologi subacquei. Non è infatti un caso se  il tempio dedicato all’Avo furioso, come afferma lo storico Diodoro, si trovasse sotto le pendici del vulcano, e, come supponiamo noi, su una estesa pianura lavica ove oggi sorge la vetusta Adrano ed un tempo vi scorrevano fiumi che formavano fragorose cascate le cui tracce ancora visibili, ci hanno consentito di ricostruirle assieme al territorio circostante, attraverso la realizzazione di un plastico in scala 1:1000 visitabile dal pubblico. Che tra l’Avo sicano e le acque, intese come elemento, non vi fosse alcuna relazione lo si evince dal fatto che nelle diverse aree geografiche in cui venne tributato il medesimo culto, per caratterizzare la divinità vengono utilizzati i più svariati aggettivi che rispondono a esigenze di adattamento culturale locali: jah, il sensitivo, il rapido, il percettivo nel Lazio; ur, l’antico, il primordiale in Grecia; man, la mente nella accezione di potenza creatrice in Germania ecc .

Desideriamo ricordare ai nostri lettori, se pur non vi sia una relazione apparente con il tema trattato in questo articolo, che la città di Adrano viene rinominata con il teonimo sicano, da Etna che si chiamava, soltanto nel IV sec.a.C. La rinominazione fu probabilmente dovuta ad un compromesso avvenuto tra il tiranno Dionigi I che assediava la città di Etna e i suoi abitanti.  Infatti, servendosi del nome della divinità nazionale sicana per la rinominazione di Etna, concordato con gli abitanti di Etna, il tiranno siracusano si proponeva come scopo, quello di lasciare intendere che nella città sicana, -definita sacra da Plutarco (Vita di Timoleonte) definizione che ci ha indotto a ritenere che la città fosse, sul modello di quella greca di Delo, protetta da una anfizionia   di città sicule- vi fosse subentrata semplicemente una influenza politica e militare siracusana, la quale non avrebbe minimamente inciso né sul culto né sulla cultura sicana, (vedi l’articolo, Alesa. Da Vercingetorige ad Arconide). Che gli eventi del IV sec. a.C., potrebbero essersi svolti in Sicilia secondo questa ricostruzione lo si deduce, tra l’altro, dai successivi eventi accaduti tra il 213 e il 211 a.C., quando i Romani giunti nell’isola già nel 263 a.C., riprese le ostilità con i Siculi che alla morte di Gerone II erano passati dalla parte dei Cartaginesi, ritenendo che la inarrestabile forza combattiva degli isolani  fosse dovuta alla protezione che la divinità sicana, cioè Adrano, riservava loro, con rito magico ne chiusero i templi in tutta l’isola, proibendo con tale atto ai Sicani di celebrare i sacrifi. Ciò significa che la dominazione greca dell’isola non aveva scalfito, ancora dopo secoli della loro presenza sull’isola, né il culto né le ancestrali tradizioni sicane.

LE MIGRAZIONI DEI SICANI

La presenza in Europa dei tre toponimi/idronomi: il Río de Adraño in Spagna (in verità in Spagna come in Sicilia, come sopra affermato, vi erano più toponimi collegati all’Avo Adrano: monte Adranone nella Sicilia centro occidentale e rego de Adran in Spagna), la città di Adrano in Sicilia, il fiume Adrana in Germania, oltre che indurci a porre la domanda quale sia stata la sede originaria dei Sicani, per la quale rimandiamo i lettori all’articolo, I Sicani: origine e sito, miti3000.eu, potrebbe spiegare in parte, la presenza delle incisioni rupestri   – datate da venti a trentacinquemila anni fa-  e delle pitture delle grotte di Lascaux, nella Francia sud-occidentale, delle grotte di Altamira in Spagna, dell’Addaura in Sicilia, di Fumana nel Trentino, in Italia, come tracce lasciate da un popolo portatore di una condivisa cultura di provenienza. Parlando delle pitture rupestri e dei loro esecutori, ai quali  gli studiosi attribuiscono la volontà di imprimere un carattere sacro rituale alle immagini zoomorfe e antropomorfe rappresentate, non si può fare a meno di effettuare un volo pindarico ed esaminare il significato del nome Sicano. Facendo appello alla disciplina che studia il significato dei lessemi, crediamo che l’etimo sicano possa essere un appellativo apposto ad una tribù fra le tante sparse nel territorio nord europeo,  per distinguerla in base a determinate caratteristiche da altre tribù, che a loro volta assumevano appellativi i cui significati evocavano i rispettivi ruoli sociali: Siculi ovvero i mandriani, da sich se, se medesimo e kuh vacca; Ciclopi, scalpellini ovvero coloro che percuotono il suolo, la pietra, da Ki terra e Klopfen percuotere, picchiare; Cilliri ovvero costruttori di navi da kiel chiglia ecc. L’appellativo Sicano dovette dunque indicare, proseguendo con la tesi su esposta, originariamente una èlite di uomini dotati di particolari sensibilità che le avrebbero permesso di stabilire una comunicazione con la dimensione extrafisica. I sich Ahne ovvero coloro che erano della stessa essenza degli Avi, sarebbero stati ritenuti dal popolo, individui capaci di entrare in contatto, in particolare, con gli antenati, Ahne, i quali avevano la loro dimora in Hell, uno spazio non meglio definito che si trovava tra il cielo, sede degli dèi, e la terra. Per estensione, l’appellativo sich Ahne, si sarebbe trasmesso da una élite all’intero popolo,  esattamente come presumiamo sia avvenuto per gli abitanti della città di Adrano ove esisteva già la casta sacerdotale degli Adraniti ancor prima che la città di Etna venisse rinominata in Adrano. I sich Ahne assumevano, di conseguenza, anche il ruolo di custodi della tradizione, erano i garanti di un ordine cosmico che non doveva mutare pena l’interruzione del ponte che univa l’aldilà con l’aldiquà. A formulare questa conclusione ci induce altresì lo stesso significato etimologico che attribuiamo al termine Sicano. L’appellativo, infatti, attraverso il pronome riflessivo sich, metterebbe in evidenza il carattere ereditario se non di consustanzialità che intercorrerebbe tra l’Avo primordiale e gli eredi.

FUGA DAI GHIACCIAI DEL NORD EUROPA

Le nostre indagini storiche riguardo ai popoli antichi, i cui risultati sono stati pubblicati in diversi libri e siti Web, giungono alla conclusione che vi sia stata una civiltà autoctona con sede nell’estremo nord Europa e, che, col sopraggiungere delle glaciazioni sia emigrata in direzione sud. Ma questo tema è stato trattato sufficientemente nell’articolo “Sumer. Gli Dei vengono dall’occidente miti 3000.eu, per riprenderlo in questa sede.

Migrazioni

Le tracce di una migrazione avvenuta in direzione nord-sud si ritrovano nei testi sacri dell’Avesta e dei Veda, quest’ultimi rivisitati dallo studioso indiano B.G. Tilak la cui grandiosa opera, La dimora artica dei Veda, merita di essere consultata.  Per ciò che concerne i Sicani della Spagna, come si può chiaramente vedere dalla cartina geografica che riportiamo e come si può constatare attraverso le sconcertanti affinità mitologiche, toponomastiche ed onomastiche che intercorrono tra irlandesi e Siciliani (vedi l’articolo, Sicani e Celti Irlandesi), possiamo dedurre che un popolo proveniente dall’estrema terra del nord Europa, Scandinavia o Irlanda, un ramo del quale, chiamato in seguito Sicani, raggiungesse Adraño in Spagna costeggiando la penisola iberica. Nello stesso tempo, un altro ramo, via terra, attraversando il braccio di mare che separa la penisola scandinava dalla Danimarca, raggiungeva il continente. Dalla Danimarca passando per la Germania scendeva ancora più a sud, raggiungendo la Francia ove Cesare, raccogliendo la tradizione orale locale, sosteneva appunto l’avvenuto passaggio dei Germani in Gallia attraverso il fiume Reno. In Gallia, tra l’altro, Cesare nomina la tribù dei Sequani il cui nome appare come una trasformazione dialettale locale del nome Sicani. Le frequenti migrazioni univocamente avvenute fino al Medioevo, in direzione nord-sud dei popoli nord europei, lo si evince anche grazie alle campagne romane che prendevano la  direzione opposta per arrestare il flusso barbarico diretto nei territori dell’impero. Tiberio recandosi nel 5 a.C. nel cuore della Germania, viene a contatto con la tribù degli Alamanni che si dichiarava discendente dei Senoni che, a loro volta, provenivano dalla Scandinavia e che ritroveremo in Gallia, prova ulteriore questa, che il focolare di queste migrazioni si trovava nell’isola scandinava al punto da far dire allo storico Giordane che i Goti erano la vagina dei popoli.

La Liguria, confinante con la Gallia, rappresentò un passaggio obbligato per effettuare la discesa verso la penisola Italica. Scendendo lungo la penisola, una parte di questo popolo primordiale si stanziava nel Lazio ove dava vita alla civiltà latina nella quale si praticava il culto di Jah-Ano ovvero dell’Avo sensitivo, (Jah significa percettivo, veloce, sensitivo) divinità che i Sicani in Sicilia avrebbero invece appellato con l’aggettivo Odhr, furioso. Nell’isola di Sicilia le condizioni erano tali che i Sicani avrebbero lasciato una impronta  destinata ad essere più profonda che altrove. Giunti nell’isola, constatata la particolare forma triangolare della stessa, forma che richiamava un simbolismo d’ordine religioso a loro familiare,  la chiamarono Trinacria, toponimo il cui significato possiamo liberamente tradurre  con “le tre forze dell’Avo” in quanto formato dall’unione dei lessemi tri con il significato di tre; Ano, avo e  Kr forza , punto di rottura, potenza. I Sicani attribuirono la forma triangolare dell’isola ad un disegno divino in quanto essa, con quella forma simbolica, rappresentava di per sé la manifestazione del divino e la volontà da parte dell’Avo, che essi l’abitassero. Nel significato del nome Trinacria è possibile cogliere un significato ulteriore, grazie al  quale gli eredi dell’Avo primordiale accampavano un diritto di ordine ereditario. Pertanto quella terra fu chiamata sicania. Quest’ultimo, per millenni convisse con quello di Trinacria. I Sicani giunti nell’isola plasmarono il territorio con la loro cultura di provenienza: i nomi dei monti, dei fiumi, delle prime fondazioni di città rimasero sicani; con i nomi venivano veicolati concetti profondi, il più delle volte collegati ad una visione del cosmo in cui tutto era connesso. I Sicani ritenevano possibile che si potesse stabilire un passaggio tra il mondo visibile e quello invisibile: i luoghi della terra non erano omogenei, ve ne erano di quelli in cui, grazie alle loro caratteristiche, alle forze promanate, era possibile stabilire un contatto con le potenze che abitavano lo spazio ultraterreno l’Hell.  I monti Peloritani, per fare un esempio tra i tanti, per la loro caratteristica, rappresentavano per i Sicani uno di questi luoghi, lo si deduce dal significato etimologico del nome; infatti l’etimo risulta formato dall’accostamento dei lessemi Bel, Signore; or ascolto ed eitan evocare, pregare, chiamare traducibile liberamente con: il luogo in cui si può stabilire un contatto con il divino. Ancora al tempo di Cicerone, questi poteva fare riferimento, ad un dio autoctono chiamato Urio, il cui santuario si trovava a Siracusa, oggetto di pellegrinaggio. Nell’isola un importante santuario dedicato ad una dea veniva edificato dal sicano Erik (Erice) che appellava la divinità quale sua divina madre. Il monte, e poi la città fondata dal sicano Erik, da lui avrebbero preso il nome: Erice. Perfino i romani s’inchinarono al culto ericino ritenendolo il più antico dedicato ad Afrodite, come sosteneva Cicerone nelle verrine e confermato da T. Livio nella Storia di Roma. Quasi contemporaneo di Erik o Erice, un grande principe sicano fu il poco indagato Cocalo. La fama, il prestigio e la magnanimità del principe che governava sul territorio agrigentino, solcarono le acque di Sicilia per approdare sulle coste di Creta, al punto da muovere gli appetiti di conquista del re di questa piccola, ma potente isola, Minosse. Ancora nel VI sec. a. C. alcuni principi sicani di Sicilia utilizzavano l’etnico che tradisce le loro nordiche origini, , è il caso di Teuto principe di Innessa. Questa città, successivamente rinominata in Etna, come afferma Diodoro siculo e poi in Adrano come emerge dalle nostre ricerche (vedi l’articolo “La terra dell’Avo. Il santuario di Adrano”) si trovava alle falde dell’Etna. Il nome Teuto riconduce a quel popolo scandinavo, i Teutoni, che Pitea, nel IV secolo a. C. incontrò nel corso del viaggio intrapreso via mare che dallo stretto di Gibilterra, costeggiando la Spagna e la Gallia, lo condusse fino alle coste della penisola scandinava nel mar del Nord. Anche grazie alla presenza di  Senone di Mineo citato da Cicerone nelle verrine per il proprio elevato status sociale, abbiamo modo,  attraverso l’etnico che lo contraddistingue, di confermare l’origine nordica del vetusto popolo siciliano. Infatti, appare evidente che il nostro Senone abitante di Mineo, città che diede i natali al principe Ducezio (in Gallia Cesare menziona una città che si chiama Ducezia), presso la quale si trovava il santuario dedicato agli dèi Palici figli dell’Avo Adrano,  condivida le origini di quel più illustre personaggio proveniente dalla tribù gallica dei Senoni, ci riferiamo a quel Brenno che passò alle cronache con il soprannome di incendiario, dal verbo tedesco brennen incendiare. Ed in fine come far passare sotto silenzio l’antico nome della Spagna, appartenuto, seppur con trascurabile modifica, all’Irlanda? Ossia Iberia? -i Romani, seguendo le consuetudini del luogo, chiamavano l’Irlanda sia Hibernia che Iperborea-. Tutto si collega se, poi, vi si aggiunge quanto riportato dallo storico di Agira Diodoro[1]  il quale, nel libro II,47 della Biblioteca Storica accenna al culto dell’Apollo iperboreo greco. Il culto greco trae origine infatti, a nostro parere, dall’Irlanda, appunto chiamata iperborea. Il rapporto tra l’Irlanda e la Grecia rimase costante per molto tempo se Diodoro fa cenno ad una ambasceria proveniente dal popolo degli Ari  inviata a Delo, città della Grecia in cui il culto dell’iperboreo Apollo era tenuto in alto conto. Nell’Odissea, nel libro che Omero dedica ai Feaci, popolo che in un nostro articolo abbiamo collocato a Siracusa, si fa riferimento ad una terra chiamata Iperia. È ipotizzabile che anche in questa occasione, se teniamo conto della mutazione consonantica  espressa dalla legge di Grimm, che avrebbe trasformato la  b in p, il poeta cieco faccia riferimento all’isola iperborea. L’etnico di Celtiberi apposto -anche se in un periodo molto posteriore rispetto a quello dell’epoca sicana – agli abitatori dell’Hiberia, la Spagna,  sarebbe comunque indicativo di un percorso avviato in epoche remote, continuato per millenni e conclusosi in epoca medievale,  ancora una volta con la migrazione scandinava dei Goti del V secolo e dei Normanni nell’XI sec.

CARATTERISTICHE SICANE DELL’HIBERIA E CONSANGUINEITA’ CON I CELTI.

Purtroppo della civiltà sicana, in Spagna non rimangono molte tracce; ciò rende difficile l’indagine. Tuttavia potremmo tentare una ricostruzione culturale che colleghi la Spagna sicana con i Sicani del Lazio e della Sicilia grazie al metodo della comparazione. Uno degli anelli di congiunzione che collega la Spagna con la cultura europea sicana la si può rintracciare grazie al nome apposto, con leggere varianti linguistiche determinate dai dialetti locali, ora ad una tribù ora ad un ordine sacerdotale, sono questi i Salii. La presenza dei Salii, il cui nome facciamo derivare da una lingua protogermanica (vedasi l’articolo, Jam akaram: la lingua dei Sicani,)  e che, secondo il nostro metodo interpretativo ormai noto ai lettori, risulta formato dall’unione dei lessemi sah che significa conoscere, vedere nella sua accezione metafisica ed Hell indicante lo spazio, un luogo fra cielo e terra ove albergano libere forze d’ordine extrafisico, è attestata in Olanda nella regione detta Salland, in Inghilterra nella variante di Siluri, tribù citata dallo storico Tacito, la quale, secondo lo storico proviene dalla Spagna; nella costa  tra la Gallia e la Liguria ove viene citata da Strabone (Geografia lib. IV) con il nome di Salui e nell’Italia centrale, nel Lazio. A Roma i Salii rappresentavano un ordine sacerdotale istituito da Numa Pompilio, il secondo re di Roma che asseriva di essere in contatto con la ninfa Egeria sua consigliera. Numa, il mitico re-sacerdote, proveniva da una tribù il cui nome sembra mostrare affinità semantiche con quella dei sahhell cioè dei Salii, ci riferiamo a quella dei Sabini, nome che liberamente interpretato significa coloro che traggono da dentro (l’ispirazione ?) la conoscenza. Infatti il nome Sabini risulta composto dall’unione dei lessemi sah vedere, nell’accezione di conoscere, ab trarre, porre fuori e inna dentro, interiore. Sulle origini nord europee di Roma e il rito druidico svolto in occasione della sua fondazione dal re-sacerdote Romolo, abbiamo già detto sufficientemente nell’articolo  dal titolo l’arte regia di Ramnes\Romolo e la fondazione di Roma,  per  ritornarvi in questa sede. Al contrario di quanto dedotto da Tacito nel suo trattato dedicato al suocero Agrippa, a proposito del passaggio dei Salii dalla Spagna in Inghilterra, a noi sembra più verosimile l’inverso, cioè che dall’Inghilterra, se non dalla Scozia ove era fortemente radicata la tradizione druidica, i Salii fossero passati sul continente per dirigersi a sud, in occidente e in oriente[3].

Non ci sembra qui fuori luogo approfondire il ruolo che fu affidato a questa potente casta sacerdotale nella città destinata a governare il mondo allora conosciuto. I Salii romani erano in numero di dodici ed avevano il compito di custodire l’Ancile, lo scudo caduto dal cielo. All’Ancile era collegato, secondo un antico oracolo, il destino dell’Urbe. Pertanto Numa ne fece realizzare altri undici identici all’originale al fine di confondere chi avesse voluto minare, distruggendo l’Ancile, il compito a cui l’Urbe era destinata dal Fato. Infatti era opinione comune, riportata da Plinio il vecchio, che la città fosse sorta per volontà degli dèi onde mettere ordine, suo tramite, nel mondo. Il custode dell’Ancile era denominato Flamine Diale; il lessema Dell da cui deriva Diale, in lingua germanica significa appunto celare, nascondere. Il Flamine Diale aveva dunque il compito di tener celato il vero Ancilia. I sacerdoti Salii avevano il compito altresì di chiudere ed aprire la porta del tempio di Jahno (Giano bifronte) a seconda che si era in guerra o in pace. Che l’ordine sacerdotale dei Salii potesse essere stato istituito da Numa, come è riportato da T. Livio, è possibile, ma bisogna tener conto che i riti da essi espletati esistevano nel Lazio ancor prima della fondazione di Roma. Ne è testimone l’antiquario Virgilio il quale, nel suo poema l’Eneide, in cui si nasconde fra le righe del  racconto una lettura diversa da quella palesemente comunicata  (vedi il nostro saggio, Dalla Scania alla S(i)cania, gratuitamente fruibile), precisa che l’apertura della porta del tempio di Jano era prerogativa del re Latino. In lingua germanica porta si dice Tor è Tor era un dio germanico equiparabile al dio latino Marte. Marte, secondo la tradizione romana, era il dio della guerra, padre di Romolo e colui che aveva lasciato cadere dal cielo l’Ancilia, cioè lo scudo. L’atto del dio corrispondeva dunque ad una iniziazione guerriera, alla quale l’intero popolo romano era stato sottoposto. Ora, si dà il caso che il rito della chiusura e apertura della porta era condiviso dai Sicani del Lazio con quelli della Sicilia. Gli storici che fanno menzione del rito siciliano dell’apertura e chiusura delle porte del tempio del dio Adrano, sono Plutarco, inconsapevolmente, nella vita di Timoleonte e Diodoro indirettamente, affermando che furono proprio i Romani, tra il 213 e il 211 a. C., probabilmente avendo intuito l’affinità tra il dio Adrano a Jahno, a chiudere forzosamente la porta del tempio del dio sicano,  affinché non potesse nuocere col suo “furore” (odhr) alle legioni, erigendovi un muro tutto attorno.

sillabici iberici 400 a.C.

Cerchiamo ora di rintracciare le tradizioni mitiche degli Spagnoli partendo da quanto viene riferito da Strabone nel suo trattato di geografia. Il geografo, preoccupato soltanto dell’aspetto geografico del territorio spagnolo, citando lo storico Eforo dimostra di non avere affatto la curiosità di un Plutarco affetto da una inestinguibile sete di conoscenza o un Tucidide che non tralasciava, pur non trascurando la sua missione di storico, di comprendere le origini del popolo siciliano. Pertanto egli non comprende il significato religioso e rituale di cui adesso diremo basandoci sulle sue stesse descrizioni e dichiarazioni. Strabone nel lib.III,2,11 della Geografia, afferma che Polibio, lo storico al seguito degli Scipioni che scrisse una storia di Roma, riconoscesse agli Iberi una consanguineità con i Celti. A  questa esplicita affermazione, possiamo aggiungere quanto il geografo sostiene nello stesso trattato di geografia nel libro III, 1,4 e cioè che lo storico Eforo si sarebbe sbagliato nell’affermare che nello stretto di Gibilterra vi fosse  un tempio o altare dedicato ad Ercole in quanto Strabone afferma che in quel luogo era constatabile soltanto la presenza di pietre disposte a tre o quattro in più punti. È evidente che Strabone parlando distrattamente di pietre si stesse riferendo a quei dolmen e megaliti che numerosi ritroviamo in Europa, senza che egli ne comprendesse il significato sacro che questi templi rivestivano per le popolazioni nord europee, e che quindi la consanguineità affermata da Polibio tra Celti e Iberi, nulla suggerisse al disattento geografo. La superficialità del geografo risulta ancor più stupefacente subito dopo, quando egli afferma che presso quelle pietre il popolo era d’uso farvi delle libagioni e che era proibito  andarvi di notte, poiché proprio a quell’ora, il luogo sarebbe stato occupato dagli dèi: “ Chi lo vuole visitare” afferma il geografo, “deve pernottare nel villaggio più vicino e recarvisi di giorno portandosi l’acqua che in quel luogo scarseggia”. È evidente che Strabone stia descrivendo una pratica rituale familiare agli Iberici ,ma che egli ignora. Infatti, nei riti celtici, l’acqua assume un ruolo rituale fondamentale, come si deduce dalla presenza di numerose vasche in Gallia, vasche che erano costruite dai  Druidi e tra le quali figura quella di Bibrachte che è soltanto la più conosciuta. Continuando ancora con le preziose informazioni sui tramonti, le albe e i movimenti del sole, dai tratti particolari, che si manifestano in quel luogo, su cui Strabone si sofferma e di cui  egli ignora il palese significato simbolico, appare evidente che nel luogo indicato dal geografo, nei pressi delle colonne d’Ercole, vi si svolgesse il rito dei solstizi e degli equinozi.

alfabeto runico

Pertanto, i dolmen che per Strabone sarebbero inutili pietre, mettono in relazione, a nostro avviso, la Spagna con la cultura celtica e la stessa vicina Sicilia. Infatti, l’isola è cosparsa di dolmen e rocce forate la cui presenza era funzionale al rito legato ai solstizi e agli equinozi, come abbiamo spiegato in altre occasioni. Nella regione dei Gaditiani, nella città di Asta, la più importante della regione secondo le affermazioni di Strabone, veniva praticata una consuetudine a noi familiare, in quanto descritta da Cesare per ciò che concerne il popolo dei Carnuti della Gallia ed in uso a Upsala in Svezia presso la prateria di More, una assemblea popolare. Continuando ad elencare le affinità culturali tra Celti ed Iberi che Strabone mette inconsapevolmente a nostra disposizione, a noi non sfugge il suo riferimento a Polibio il quale, a proposito del fiume Anas, afferma che esso nasce dalla Regione dei Celtiberi e che il nome apposto al fiume sia addebita ile ai Celtiberi che parlavano una lingua germanica, il celtico. Il lettore si ricorderà che Ano significa nella lingua germanica avo, antenato, pertanto Anas dovrebbe corrispondere al sostantivo  femminile –Presso i Persiani la divinità fluviale si chiamava Anaita; I Greci chiamavano la regina Anassa mentre gli Ittiti la appellavano tawananna alludendo alla regina madre; il primo re ittita si chiamava invece, Anittas ovvero colui che evoca, o è egli stesso, la voce dell’Avo, da An-iti-Hass-. Secondo le asserzioni di Strabone, Il popolo che viveva presso il fiume Anas, dunque i Celtiberi, era il più colto e, conservava, a detta del geografo, documenti scritti della propria storia antica di sei mila anni. Ora, parlando della scrittura degli Iberi, non può passare inosservata la similitudine dei caratteri di questa, nelle epigrafi rinvenute e fatte risalire dagli studiosi al 400 a.C., con i caratteri utilizzati nella scrittura barriforme celtica definita runica.

Ad majora.

[1] Ur-ANO;  Jah-ANO; mn-ANO; ANO; odhr-ANO sono i differenti modi con cui l’Avo comune, l’Ano, veniva appellato rispettivamente da Greci, Latini, Germani, Sumeri e Sicani di Sicilia significando rispettivamente: l’Avo primordiale; l’Avo intuitivo; l’avo mentale o il potere della mente dell’Avo; l’Avo; l’Avo furioso o divino. Lo stesso termine Sicano o sich Ano significa l’avo in sé, cioè il pronome personale sich, sé, sé stesso, indica il concetto di consustanzialità tra l’Avo, l’Ano e l’erede cioè il Sicano.

[2]( …) Ecateo e alcuni altri affermano che nelle regioni poste al di là del paese dei Celti c’è un’isola non più piccola della Sicilia; essa si troverebbe sotto le Orse e sarebbe abitata dagli Iperborei, così detti perché‚ si trovano al di là del vento di Borea. Quest’isola sarebbe fertile e produrrebbe ogni tipo di frutto; inoltre avrebbe un clima eccezionalmente temperato, cosicché‚ produrrebbe due raccolti all’anno. Raccontano che in essa sia nata Leto: e per questo Apollo vi sarebbe onorato più degli altri dei; i suoi abitanti sarebbero anzi un po’ come dei sacerdoti di Apollo, poiché‚ a questo dio si inneggia da parte loro ogni giorno con canti continui e gli si tributano onori eccezionali. Sull’isola ci sarebbe poi uno splendido recinto di Apollo, e un grande tempio adorno di molte offerte, di forma sferica. Inoltre, ci sarebbe anche una città sacra a questo dio, e dei suoi abitanti la maggior parte sarebbe costituita da suonatori di cetra. – Diodoro siculo Biblioteca storica II,4.[3] Tacito, come si evince nella vita di Agricola, crede che la tribù dei Siluri in Britannia, potesse essere arrivata dalla Spagna a motivo delle simili caratteristiche somatiche. Non è da escludere, piuttosto, che l’antichissima migrazione dei Salii o Siluri, partita dalla Scozia o comunque dal nord, giunta in Spagna, avesse mantenuto con la madre patria dei rapporti filiali, un cordone ombelicale che non si era mai del tutto reciso e che dunque, nel corso dei secoli, se non millenni, i matrimoni misti avvenuti tra cittadini della madrepatria Britannia e la colonia spagnola, avesse portato ad un rimescolamento del corredo genetico. Testimonianza dell’abitudine di mantenere rapporti solidi tra la patria e le colonie è testimoniata da Diodoro siculo nel libro II,42 in cui cita il gemellaggio tra la città greca di Delo e gli Iperborei a motivo dell’antenato comune Apollo. Un caso italiano simile era il gemellaggio intercorso tra la sicana cittadina siciliana di Centuripe e la cittadina sicana del Lazio Lanuvio (Vedi Centuripe, l’antica stirpe).

4 risposte a “I Sicani: Hiberia e Trinacria – Adraño: Un Dio Indoeuropeo.”

  1. Ho letto in un libro scritto dallo storico Schiapparelli (fratello del famoso astronomo) menbro dell’Accademia dei Lincei e già direttore del museo egizio di Torino, che un re o prncipe Sicano/Siculio stanziatisi nel Lazio ebbe dei figli uno dei quali si chiamava ROMA. Vi risulta?
    Grazie

    1. Egregio sig. Lo Monaco, La ringraziamo per il suo contributo! Che il Lazio sia stato abitato dai Sicani è provato non solo dalla citazione virgiliana, ma, a nostro avviso, da una molteplicità di indizi, in parte esposti nel nostro articolo. Tuttavia, dell’affermazione dello Schiapparelli di cui Lei riferisce, non mi pare si trovi alcun riscontro negli storici antichi. Apprezzabili, comunque, le intuizioni dello Schiapparelli sugli Ittiti, popolo imparentato con i Sicani. Infatti, qualche anno dopo gli studi del Nostro, lo studioso Hronzny, poteva tradurre le tavolette ittite con l’ausilio della lingua germanica, utilizzata anche da noi per tradurre le epigrafi sicane trovate in Sicilia. Ad Maiora.

  2. Da quanto scrivete praticamente come mi sembra di capire non fate alcuna distinzione tra Sicani e Siculi , concordo sul fatto che i sicani erano in origine stanziati nel Lazio ma come lo erano anche i siculi che a mio avviso invece erano un popolo distinto e non il medesimo dei sicani , come Adrano non era una divinitá sicana ma sicula indoeuropea a sua volta di provenienza illirica , dove appunto va ricercata l’ origine del nome Adrano con il mare Adriatico che divide l’ Illiria dalla penisola italica , a meno che poi non si voglia inquadrare i sicani in una piú antica migrazione indoeuropea comunque del medesimo ceppo etnico dei siculi , che di questo popolo forse costui la prima avanguardia migratoria verso l’ Italia e la Sicilia..

    1. Egregio signor Sciacca,
      La ringraziamo per i quesiti che ci pone; essi giungono graditi in quanto permettono approfondimenti utili per tutti, sebbene questi argomenti siano stati trattati negli articoli da noi  pubblicati negli ultimi anni in diversi siti web, tra cui: http://www.miti3000.eu. Per quanto riguarda la sua prima domanda/affermazione, che tradisce la fonte di provenienza, siamo costretti a ribadire, contraddicendo la sua fonte, che non c’è popolo più indoeuropee di quello sicano, il quale affonda la propria cultura in un concetto patriarcale della società, il cui capostipite è proprio L’avo Adrano, e più solare per quanto riguarda il riferimento metafisico espresso attraverso il simbolismo: spirale, ruota del sole, croce potenziata, croce dei ghiacciai o svastica, Trinacria ecc. a tal fine, per un maggiore approfondimento La rinviamo all’articolo “Simbologia e ascesi nell’Adrano arcaica” http://www.miti3000.eu. A quanto affermato fin qui, si aggiunga la lingua attraverso la quale i Sicani esprimevano la propria weltanshauung, il protogermanico, e anche in questo caso, per la complessità dell’argomento trattato, siamo costretti a rinviarla all’articolo “La lingua dei Sicani” http://www.miti3000.eu. Per quanto riguarda la provenienza illirica dei Siculi l’argomento è stato da noi  trattato nell’articolo “I Cilliri del Simeto” http://www.miti3000.eu. Per quanto riguarda ancora il nome Adrano, se esso sia di derivazione sicula o sicana, atteso che dagli studi da noi condotti non emergono differenze etniche tra i due popoli e che i due nomi sono dei semplici appellativi che servono a rendere evidenti le caratteristiche e i ruoli sociali di entrambi (come dire Leviti e Giudei per quanto riguarda due delle dodici tribù Israelite), potrà trovare risposte nell’articolo: Adrano L’avo dei Sicani” http://www.miti3000.eu. Come può constatare, a costo di apparire autoreferenziali con le numerose citazioni dei nostri articoli, non possiamo farne a meno per rispondere ai complessi quesiti da Lei posti. Infatti, le ricerche sul popolo sicano, erano ferme alla schematizzazione tucididea. Scusandoci se non siamo riusciti ad  essere esaustivi nel rispondere, rimaniamo comunque a sua completa disposizione. Nel frattempo cogliamo l’occasione per segnalarle la GRATUITA fruizione su http://www.miti3000.eu, dei libri che abbiamo pubblicato. Tra questi “Dalla S(i)cania alla Sicania” potrebbe tornarLe particolarmente utile. 
      Ad majora.

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