La lingua degli Adraniti: Epigrafi anelleniche.


Epigrafe in alfabeto anellenico del Mendolito.

Risale a molti decenni fa il ritrovamento della stele di calcare in contrada Mendolito, a tre chilometri dall’abitato di Adrano, città, quest’ultima, in cui sorgeva il santuario dell’Avo Adrano venerato in tutta la Sicilia fino a quando l’isola rimase etnicamente e culturalmente integra, e conservò il toponimo di Sicania. La stele del Mendolito contiene l’epigrafe anellenica più lunga che sia stata ritrovata in Sicilia. Ci piace considerarla un monito arrivato dalla polvere dei millenni a ricordarci il prestigio che la vetusta città di Adrano ebbe nei millenni passati e perché essa, oggi, Cenerentola del Mediterraneo, venga ripensata dagli studiosi secondo il posto che le spetta nella storia, conservato fino all’infausto arrivo dei tiranni greci i quali, pian piano, le sovrapposero secondo i propri piani di mistificazione, i loro miti e la loro cultura. A noi Adraniti  piace credere che l’epigrafe abbia voluto trasmettere un testamento spirituale col quale i nostri antenati di due millenni e mezzo fa, intesero veicolare uno spirito imperituro e un concetto di Nazione e amor patrio che vediamo assai affievolito nella percezione delle generazioni presenti. Ci preme segnalare ai lettori, che la stele non si trova nella sua sede naturale, il museo di Adrano, presso le ampie sale del prestigioso castello edificato dal conte Ruggero il normanno, ma nel moderno, orientaleggiante museo di Siracusa nel quale, negli anni sessanta del secolo scorso, vi venne condotta per essere studiata e restaurata e, da allora, mai più restituita ai legittimi proprietari, gli odierni Adraniti, figli di coloro che in quel calcare, incisero le criptiche lettere. Non ci soffermeremo in questa sede sul contenuto di quella lunga epigrafe; infatti, l’argomento è stato ampiamente affrontato sul prestigioso sito di miti3000.eu nell’articolo “jam akaram, la lingua dei Sicani“. In quella sede ne fornimmo la traduzione secondo il nostro, ormai conosciuto metodo interpretativo, che vede nel protogermanico, la lingua di riferimento. Il protogermanico è in realtà una lingua ricostruita dagli studiosi attraverso la comparazione di lessemi delle lingue di derivazione germanica quali l’inglese, il gotico, il norreno. In questa sede intendiamo altresì sollecitare gli studiosi e appassionati ad intraprendere uno studio sistematico della lingua dei nostri Avi, lingua con la quale i primi abitatori dell’isola esprimevano  – anche attraverso l’uso della simbologia perfettamente in sintonia con il concetto dell’aldilà -, i profondi concetti d’ordine metafisico. È probabile che ad Adrano, sede del culto religioso che accomunava, anzi cementava, gli abitanti dell’isola, la lingua primigenia si mantenesse viva e inalterata per un periodo di tempo assai più lungo che nelle altre città della Sicilia, e ciò grazie alla presenza della casta sacerdotale degli Adraniti, nome che per sineddoche, nel periodo a cavallo tra il V e il IV secolo a.C., venne attribuito anche agli abitanti della città dove sorgeva il santuario, che allora si chiamava Etna (vedi l’articolo: “Rinominazione della città Etna in Adrano“). La casta sacerdotale degli Adraniti, dunque, fu in condizione di tener in vita “la lingua degli dei” fin tanto che il culto dedicato all’Avo primordiale Adrano, venne esercitato con profonda devozione. Infatti, la lingua sicana, come quella latina per i cristiani, o ebraica per i Giudei, rappresentava la lingua sacra, l’unica attraverso la quale era possibile la comunicazione tra l’umano e il divino; il divino non avrebbe riconosciuto dei suoni che non gli fossero stati familiari. Quanto affermiamo rientrava in una antica conoscenza esoterica che si inseriva in un remoto periodo temporale, quando cioè, uomini e Dei comunicavano attraverso l’utilizzo di suoni e simboli convenzionali. Sulla base di queste affermazioni appaiono chiare le esortazioni del riformatore dell’antica religione mazdea Zarathustra, dirette al sacerdote sacrificante. Al sacerdote, Zarathustra, raccomandava che pronunciasse correttamente le formule rituali. Esse dovevano essere chiare e scandite, la pronuncia delle stesse non doveva subire inflessioni di sorta, una pronuncia falsata avrebbe provocato l’aborto del rito. Anche nel libro sacro dei Veda,  che è un complemento dell’Avesta, si insiste sulla necessità di conservare l’esatta pronuncia delle formule rituali. Ma tornando alla lingua dei Sicani, primi abitatori della Sicilia come sostiene Tucidide, il quale, a sua volta, si rifà agli storici locali.

ADRANO CENTRO RELIGIOSO DELL’ISOLA.

Come affermato sopra, la città di Adrano, in quanto sede del culto nazionale sicano, rappresenta per noi lo scrigno da cui va tratto ogni spunto di studio della lingua primigenia: la sicana. Qui risiedeva, e ciò è fondamentale per comprendere il motivo di una lunga, inalterata sopravvivenza della lingua, la casta sacerdotale degli Adraniti. Facendo la dovuta comparazione linguistica con la lingua ebraica, infatti, si può constatare che le liturgie giudaiche hanno utilizzato per oltre due millenni la lingua ebraica biblica quale lingua rituale. L’ebraico biblico che viene letto e compreso da un rabbino del ventesimo secolo, non si discosta enormemente da quello parlato dal colto Giuseppe Flavio. Esso continuò ad essere l’idioma rituale anche quando il volgo non lo parlava e non lo comprendeva più durante la diaspora, poiché il sacerdote, non con il popolo doveva interloquire, ma col divino. Dunque ad Adrano, come nel Vaticano o a Ninive, capitale dell’Assiria, dove è stata rinvenuta la più ricca e  importante biblioteca della regione — si calcola che siano stati oltre diecimila i testi ospitati nella biblioteca reale —, doveva conservarsi la conoscenza delle arcane cose e la lingua con cui esse venivano comunicate ai neofiti. Tuttavia, se abbiamo colto nel segno, la casta sacerdotale denominata Adraniti, come quella dei consanguinei druidi del nord Europa, non amava mettere per iscritto il proprio sapere: non a tutti erano aperte le porte della conoscenza, ma solo a coloro che, per loro innata predisposizione, avevano la capacità di comprenderne il profondo e, talvolta, gravoso significato ed essere in grado di sostenerne il peso. Questo atteggiamento misterico, non era prerogativa di adraniti e druidi, ma rientrava nella struttura esoterica del sacerdozio di tutti i popoli facenti parte della grande famiglia dei popoli convenzionalmente denominati indoeuropei; perciò anche dai saggi indiani, i rishi. Infatti, i sapienti indù esortavano il saggio a non scandalizzare la mente dei semplici comunicando loro concetti metafisici ad essi incomprensibili.

Vogliamo concludere formulando l’auspicio che possa nascere un centro studi telematico sulla lingua sicana che abbia in Adrano il suo baricentro.

Ad majora

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *