Sicania: Le divine ambasciate. La Svizzera del Paleolitico

Premessa.

Leggendo le opere di alcuni storici antichi, di Omero piuttosto che di Apollonio Rodio, si ha la sensazione che questi ispirati autori raccontino gli eventi come se il loro svolgersi fosse osservato dall’alto, come se potessero dominare l’intero campo d’azione sul quale gli eventi raccontati si svolgevano: Omero lo sterminato campo di battaglia in cui si scontravano gli Achei con i Troiani, talche’ potesse osservare contemporaneamente la fuga di Enea e dall’altra estremità della sterminata pianura il bellicoso Aiace Telamonio fare strage di nemici; similmente, Apollonio, da sopra una nuvola, poteva osservare la nave Argo che veleggiava dalla Colchide alla Sicilia facendo scalo qua e là.
La medesima sensazione si prova osservando antiche carte nautiche, come la famosa mappa di Piri Reis che riprende le coste dell’Antartide priva dei ghiacciai che oggi le rende invisibili. Ebbene, nel gioco letterario che abbiamo intrapreso con i nostri lettori, abbiamo provato a staccare lo spirito dal corpo, immaginando che, vagando libero per l’aere, potesse guardare al mondo globale; vi abbiamo visto uomini e dèi interagire parlando un unico linguaggio, un linguaggio ancora in uso, e tuttavia compreso da pochi.

Le  Divine Ambasciate.

Quanto ipotizzato negli articoli precedenti, frutto di studi che vedevano nell’utilizzo della multi disciplinarieta’ l’inevitabile strumento di lavoro, ha fatto emergere che la Sicania, la terra di proprietà dell’Avo primordiale Anu, fosse stata scelta per essere la sede, diciamo così, delle ambasciate divine e, dunque, preservata da conflitti bellici che, invece, trovavano nel vicino Medio Oriente il proprio privilegiato campo d’azione. Le guerre cola’ combattute dal IV fino al II millennio a.C., quella di Arappa nella valle dell’Indo, la sumerica in Mesopotamia, la vedica in India ecc. furono talmente violente da cancellare intere città come Moenjo Daro, Sodoma, Gomorra e distruggerne altre come Gerico ecc. Posta la questione in questi termini, il lettore potrebbe trovare esagerato tale scenario se i ritrovamenti archeologici delle suddette città non confermassero tali affermazioni. Tralasciando di citare i testi sacri appartenenti alla tradizione di molti popoli, che parlano di guerre apocalittiche combattute da eserciti antidiluviani con l’ausilio di tecnologie tanto evolute quanto sconosciute – i vimana e il bramastra indiani-, ricordiamo al lettore che pone la sua fede soltanto al servizio della scienza moderna, che gli antropologi, sulla base del DNA estratto dai fossili di ominidi ritrovati in diverse aree geografiche del pianeta, hanno tratto le conclusioni che la terra sia stata popolata da almeno cinque razze di esseri umani e quella dell’ Homo Sapiens, a cui noi apparteniamo, sia l’unica ad essere sopravvissuta. Ora, noi, memori di quella rivoluzione copernicana che seguì ai roghi combinati da chi riteneva di possedere le certezze scientifiche o fideistiche nei confronti di tesi opposte alle loro, rivelatesi quest’ultime successivamente esatte, abbiamo scelto di rimanere laici di fronte alle tesi esposte dai così detti eretici, lasciando che siano le prove apportate dai sostenitori di tali tesi a fare si che siano accolte o respinte. Al momento, non è possibile escludere la possibilità che fra le quattro razze umane estinte, catalogate dagli studiosi, una di queste potesse aver raggiunto una evoluzione tecnologica talmente avanzata da essere in grado di costruire quei manufatti archeologici che noi oggi, nonostante le moderne tecnologie, non saremmo in grado di riprodurre (si consiglia di leggere il libro di Marco Pizzuti “Scoperte Archeologiche Non Autorizzate”). Ma torniamo alla ricostruzione che tenteremo di realizzare in questa sede sulla base della consultazione delle fonti sumeriche, fonti che utilizzeremo per comparazione essendo stato appurato ormai, che i Sicani e i Sumeri, erano rami dello stesso albero. Riteniamo che la Sicilia, mentre si combattevano guerre cruente in Medio Oriente, continuasse ad essere quel paradiso terrestre abitato da divinità legate tra loro da vincoli di parentela, tanto che nessuno tra gli storici antichi ha mai narrato di episodi di guerre intestine in seno all’isola combattute tra i popoli che l’abitavano. La pax deorum, dovette prolungarsi fino all’arrivo degli infidi Greci, in epoca relativamente recente, nel VIII sec. a.C., tanto da far presumere veritiera l’affermazione riportata nei testi vedici, secondo la quale il mondo, in illo tempore, venne suddiviso in quattro parti, tre abitate dagli uomini, la quarta, a occidente, abitata dagli dèi. L’ipotesi che questa quarta parte comprendesse il bacino del Mediterraneo e le sue isole, e che il suo epicentro fosse ubicato in Sicilia, potrebbe essere suffragata dalla tradizione tramandata fino al tempo di Cicerone che spinge l’oratore romano ad affermare che la Sicilia era ritenuta una terra abitata da dèi. Infatti, è stato da noi altrove supposto, che il dio mesopotamico Anu, appellato dai Sicani, in Sicilia, furioso, odhr, avesse posto la propria reggia, chiamata Aenna nella lingua sumerica, proprio nella citta’ siciliana di Enna, la quale è ubicata al centro dell’isola, mentre il tempio a lui dedicato, costruito fra le eterne lave di basalto, riteniamo affondasse le sue solide fondamenta alle falde dell’Etna, nella acropoli della città di Innessa, successivamente rinominata Etna, come afferma Diodoro Siculo, e in ultimo Adrano, come risulta dai nostri studi. Le divinità, in numero di dodici, come prevedeva il Pantheon dei popoli indoeuropei di cui i Sicani facevano parte, avevano scelto ognuno la propria sede in un luogo della Sicilia a loro congeniale: Eolo, l’Enlil sumero, aveva gettato le fondamenta della sua dimora nell’isolotto di Lipari e governava l’arcipelago delle isole che da lui prese il nome di Eolie; Urio/Enki/Poseidone conduceva i suoi esperimenti su tutto il territorio isolano, ma, fra le città candidate ad ospitare il suo tempio laboratorio, ci sarebbe la città di Innessa per i motivi spiegati nell’articolo “Come Adrano divenne la sede dell” Avo”.
La presenza della triade divina in Sicilia, Anu, Enlil, Enki, il primo padre dei due fratellastri, si trasformò, forse, in Sicilia nella espressione istituzionale per eccellenza, percepita dai Sicani come la più importante in assoluto: la famiglia. E dal momento che i testi sumerici parlano delle visite terrene di Anu in compagnia della divina consorte Antu, la divina famiglia siciliana sarebbe stata formata da Ano, da Antu, corrispondente forse alla dea siciliana Hibla e dai due fratelli, Enki ed Enlil appellati Palici dai Sicani, cioè i Signori. La presenza della triade divina, padre-madre-progenie, fece sì che la Sicania, ovvero la terra di Ano, godesse della pax deorum di cui si è detto sopra, e che l’isola fosse appellata anche Trinacria, ovvero le tre potenze del cielo. Noi supponiamo che le tre potenze a cui faceva riferimento il toponimo Trinacria, corrispondessero ai ruoli istituzionali assunti dai tre componenti maschili della famiglia divina. Infatti, le tre divinità maschili: Anu-Enlil-Enki, ovvero Adrano e i Palici, la cui centralità culturale non può dare spazio alla presunta civiltà matriarcale attribuita ai Sicani, ma a questo argomento dedicheremo un articolo a parte, si erano spartiti il dominio dei cieli, della terra e delle acque. Il cielo, che era toccato ad Anu/Adrano andrebbe inteso come luogo in cui dimora il potere assoluto, su tutti i piani: fisico e metafisico; Enlil/Eolo esercitava il suo potere sullo spazio, inteso come un luogo interposto tra il cielo e la terra. A Enlil spettava anche il comando sulle sorti del pianeta, mentre il dominio dell’elemento fluido era talmente connaturato ad Enki/Poseidone, da essere soprannominato egli stesso Ea, che nella lingua sumerica significa acqua, eau nella lingua francese, O in quella babilonese da cui facciamo derivare il nome delle divinità che avrebbero portato la civiltà a Babilonia, divinità che il sacerdote Beroso chiama O.anes, cioè gli antenati venuti dal mare o dall’acqua. Anche il nome Enki, che dai sumerologi è stato tradotto come, colui che comanda sulla terra (ki), da noi è stato supposto che si riferisca invece al suo primato sui mari, quale infaticabile navigatore; infatti, Ea viene descritto nei testi sumerici sempre a bordo di una nave alla ricerca di novità. Di conseguenza facciamo derivare l’appellativo enki dall’unione dei lessemi en, che nella lingua norrena significa uno, primo (ein in tedesco) e Kiel, la chiglia, che per metonimia indica la nave tutta. L’equivalente troiano dell’appellativo sumero en.kiel sarebbe stato quello di Enea: En primo ed Ea acqua, il primo nell’acqua, il migliore; Enea potrebbe forse aver coperto il grado di ammiraglio della flotta troiana che: “per viltà dei padri” , come fa dire Omero ad Ettore nel suo poema l’Iliade, non poté esprimere le proprie capacità nautiche. Ma torniamo alla Sicilia del periodo felice.

Museo archeologico di Adrano. III millennio a.C.

Riteniamo, per i motivi che verranno addotti durante il percorso dell’indagine, che intorno al duemila a.C. si consumarono sulla terra alcuni sconvolgimenti che resero necessaria una rimodulazione socio politica nell’area del Mediterraneo e nella affine società mesopotamica.

Essendo le fonti letterarie riguardante il secondo millennio a.C. inesistenti in Sicilia, ci avvaleremo della interpretazione del simbolismo

Ruota del sole su capitello lavico in arte sicula.  Museo archeologico di Adrano CT

riprodotto sulla ceramica adranita del III e II millennio a.C., oltre che, per comparazione, alla mitologia e alle fonti sumere. Le fonti letterarie del periodo qui indagato sono state ritrovate numerose in Mesopotamia. Esse, tradotte dai sumerologi, si prestano, grazie alla comparazione, ad essere utilizzate per tentare una lettura del periodo storico siciliano qui indagato. Il collegamento principale tra la Sicilia e la Mesopotamia, a cui abbiamo fatto più volte riferimento, è rappresentato dal teonimo Anu, il cui pittogramma era rappresentato da otto cunei che si dipartivano da un

Simboli all’interno di una tomba di Kivik in Svezia
Oggetto di ceramica del IV mill. a.C. rinvenuto a Susa

punto centrale. Riteniamo che il nome Anu sia diventato in seguito un titolo adottato dai principi preposti al comando, paragonabile al titolo di Cesare per gli imperatori romani e poi per i regnanti delle nazioni europee che si susseguirono. Anu, che letteralmente significa avo, antenato, nonno, è altresì sinonimo di cielo. Pertanto, tutte le volte che si incorre nel lessema Anu, per il significato che occorre fargli assumere, bisogna tenere conto del contesto dell’argomento trattato.

Le rissose divinità della seconda generazione.

Sostenevamo sopra che, alla fine del III millennio a.C., l’assetto sociale nel bacino del Mediterraneo cominciava a destabilizzarsi. Nuove divinità, dèi di seconda generazione, figli e nipoti della triade divina che aveva garantito la stabilità del potere in Occidente fino a quel momento, cominciavano a sgomitare per ottenere un regno tutto proprio. Marduk o Baal, il Signore, manifestava insofferenza per il suo destino, segnato dalle regole basate sulla ereditarietà del regno, per cui era destinato ad una eterna sudditanza nei confronti dei cugini, giudicati militarmente e politicamente meno capaci di lui. La sua insofferenza cresceva ancora di più, nel constatare che suo padre Enki (forse appellato Urio dai Sicani, e forse identificabile con il dio locale citato da Cicerone, la cui statua venne osservata nel tempio di Siracusa), lo scienziato che deteneva i poteri, i Me, di cui si è parlato negli articoli precedenti, nonostante fosse il primogenito di Anu dovesse essere subalterno al fratellastro Enlil. Enki/Urio/Poseidone, però, suo malgrado, rimaneva rispettoso delle leggi ancestrali, emanazione della saggezza degli Avi. Queste leggi stabilivano che l’erede al trono fosse non il primogenito, quale era Enki, ma colui che era nato dal rapporto avuto dal re con la propria sorellastra, a motivo di leggi d’ordine genetico ancora non chiare agli scienziati contemporanei e mai chiarite dagli storici antichi. Dunque, la discendenza regale di Anu camminava lungo la sequenza cromosomica di Enlil/Eolo. Marduk/Baal, intendeva però sovvertire le regole, introducendo quella che oggi noi definiremmo la meritocrazia. Così, il giovane principe, rampollo particolarmente amato da Enki/Urio/Poseidone, come testimonia il contenuto dei dialoghi tra padre e figlio impresso nelle tavolette di argilla, rinvenute in Mesopotamia, dette inizio alla propria scalata al potere. Le ambizioni dei suoi cugini, figli di Enlil/Eolo, non erano certo da meno; non lo erano quelle della vispa cuginetta Innanna/Proserpina e di tanti altri ancora. Anzi, a motivo dei matrimoni tra consanguinei, erano ostili a Marduk/Baal anche alcuni dei suoi fratelli, i quali, avendo sposato le figlie di Enlil/Eolo, erano entrati a far parte del diritto di successione dinastica . Insomma, durante la seconda e terza generazione divina, le questioni politiche tra gli dèi erano arrivati a una situazione disperata, di rottura senza possibilità di ritorno, tanto che i piccoli espedienti intrapresi dalle divinità minori, come quello di Innanna/Proserpina, concretizzate nel furto dei Me, i non meglio definiti poteri, custoditi da Enki/Urio, o il blitz di Jasone che porto’ via il vello al re della Colchide Eeta, e altre piccole scaramucce raccontate dai poeti greci successivi, presero una piega così pericolosa, da trasformare le rappresaglie in una guerra totale, con il risultato che vennero cancellate, come detto sopra, città con le rispettive civiltà.

I prodromi del mutamento sociale nella terra degli Dei: La Sicilia.

Da quello che emerge attraverso le interpretazioni mitologiche da noi tentate, l’ascesa al potere di Marduk riguardava soltanto l’area mediorientale, essa si arrestava nelle coste cananee della Palestina, non osando il dio di imbarcarsi nel mare siciliano, come Apollonio Rodio, nel suo poema Le Argonautiche, soleva definire il Mediterraneo. Le acque di questo mare fungevano da solco invalicabile, da confine primigenio interdetto alle contese. Un indizio che sancisce la inviolabile neutralità della Sicania, crediamo di averlo riscontrato grazie ai toponimi Assoro, in provincia di Enna e di Belice, da Baal, Signore, uno dei cinquanta appellativi dati a Marduk. Infatti, nonostante quest’ultimo si fosse imposto cultualmente e militarmente in Mesopotamia, soltanto gli Assiri, irriducibili avversari di Baal/Marduk, riuscivano ancora a contrapporre il loro dio Assur. Ebbene, Assur, ovvero Assoro, e Baal, ovvero Belice, città siciliane in cui le due divinità venivano onorate, non fecero registrare negli annali della storia siciliana, dissapore alcuno, in Sicilia, nelle loro dorate ambasciate, potevano sostenere soltanto scaramucce diplomatiche.
La terra di Sicania, grazie alla presenza in loco delle dodici residenze divine, si teneva dunque lontana dai conflitti armati, era questa considerata, terra neutrale. Le guerre, come sopra affermato, si combattevano violente, senza esclusione di colpi, in Medio Oriente; i partecipanti ai conflitti orientali, a loro volta, inviavano tutt’al più, ambasciatori in Sicilia (Argonauti), oppure arrivavano nell’isola esuli (Spartani, Greci, Cretesi) stremati, reduci delle guerre combattute in Oriente; vi trovavano asilo perseguitati politici come Dedalo ecc. Se qualcuno osava avvicinarsi all’isola divina con cattive intenzioni veniva subito messo fuori gioco, come accadde al temerario Minosse e al suo poderoso esercito. Tuttavia, il tentativo da parte del re cretese di invadere l’isola lascia comprendere come i tentativi di Marduk/Baal di sconvolgere l’ordine costituito, avevano comunque, in un mondo ormai globalizzato, creato un precedente; avevano provocato una lieve crepa nello scudo protettivo siciliano. La rottura con le tradizioni, perpetrata da Marduk, potrebbe considerarsi un precedente che incoraggiava i successivi tentativi di invasione, a iniziare da quella di Minosse, a cui seguì quella greca nell’VIII sec. a.C. Le mire egemoniche di Marduk, che avevano avuto parzialmente successo in Medio Oriente con l’assoggettamento di Babilonia, sono cronologicamente collocabili intorno al 2000 a. C., epoca in cui assistiamo alla sostituzione del culto tributato ad altre divinità mesopotamiche con quello tributato a Marduk. Il V sec. a.C., rappresenta una ulteriore svolta per l’assetto geopolitico e per quello mediorientale in particolare. Infatti, nel 539 a.C. Babilonia cadde sotto l’egemonia persiana, Zarathustra, il riformatore dell’antica religione, al seguito di Ciro, fece da battipista all’ingresso della religione che ancora oggi viene praticata da un terzo degli abitanti del pianeta, seppur adattata ai nuovi tempi. La Sicania, come affermato, grazie ai tiranni greci, cominciava a mostrare delle crepe nella tradizione atavica. Questi Greci, definiti spregiativamente dai Romani “contemplatori di statue”, eredi degeneri di quegli estinti eroi Micenei, accolti a partire dall’VIII sec. a.C. dai regnanti siciliani quali supplici, cominciarono ad infiltrarsi nei gangli della politica locale per sostituirsi poi agli autoctoni, e cancellare la tradizione, la lingua e mistificare la nobile storia dei prischi Sicani. La succinta e inevitabile citazione da parte degli storici greci, ancora nel V sec. a.C., di principi sacerdoti Sicani, quali furono Arconide, Ducezio e nel III sec. a.C. Adranodoro, addetti al culto delle divinità locali, e in particolare di Adrano e i suoi figli Palici, che tentano di arrestare l’ascesa politico militare degli infidi Greci, attesta come le tradizioni culturali sicane fossero durature e monolitiche fino a tempi relativamente recenti. Tuttavia, le divinità orientali, che premevano in occidente al seguito dei legionari, non più Romani, era destino che gettassero nel caos anche l’isola divina e che fra tutte le divinità orientali, che si accalcavano alle porte dell’isola sacra, l’avesse vinta quella che era a capo di un popolo, il più minuto sì, ma di una tenacia e virulenza senza pari.

Ad maiora.

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