I Sicani: La civiltà del Patriarcato

Prefazione.

Riteniamo necessario chiarire, in questo articolo, la posizione assunta dal prisco popolo dei Sicani riguardo a quell’atteggiamento dello spirito per il quale prestigiosi studiosi stabilirono se le società umane fossero fondate sul diritto paterno o quello materno.
Poiché lo studio qui esposto interessa più che i fatti storici una predisposizione dello spirito, costruiremo le nostre tesi sulla traccia dei simboli, dei riti, dei costumi fino a noi giunti numerosi e loquaci, e la dove fossero assenti le fonti storiche dirette, seguiremo il metodo dell’analisi interdisciplinare.
Sebbene siano stati sparsi numerosi indizi negli articoli da noi altrove pubblicati, che facevano riferimento alla visione del mondo incentrata sul diritto del padre nella società sicana, ci sembra, tuttavia, che il religioso pacifico atteggiamento del popolo sicano venga ancora interpretato come un pacifismo in una moderna era di stampo femminista. È pur vero che le civiltà ginecocratiche erano caratterizzate dall’assenza di discordie interne, ma se il disordine sociale non si manifestò nella società sicana siciliana, per lo meno fino al sopraggiungere nel VIII sec. a.C. dei rissosi e perfidi Greci, il motivo va ricercato, oltre che nella omogeneità etnica della popolazione isolana, nel saldo culto che aveva conformato la civiltà sicana. Il Pantheon sicano vedeva al vertice della scala gerarchica il padre degli dèi Adrano, il quale, aveva fatto del territorio siciliano quel laboratorio produttore di benessere, che avrà ancora in Federico II il fedele continuatore alchemico, capace di farsi eleggere re – di Gerusalemme– senza spargere una goccia di sangue. Ma di ciò è stato detto nell’articolo “Sicania: le divine ambasciate. La Svizzera del Paleolitico”, a cui rimandiamo.
Ciò che ci interessa precisare in questa sede è che lo studio esposto non ha lo scopo di stabilire primati o promuovere una visione del mondo a discapito di un’altra, non è questo lo scopo che il ricercatore e lo storico si prefiggono, non noi, tanto che non ci soffermeremo sulla considerazione che l’epoca attuale, a nostro giudizio, stia assumendo sempre più i tratti di una condizione ginecocratica. Siamo invece convinti, che la coesistenza di entrambe le concezioni del mondo, rimanendo ognuna nell’ambito del proprio ruolo sia garanzia di equilibrio e armonia nella gestione del consorzio umano. Pertanto, certi che entrambe le visioni fossero armonicamente coesistenti nella vetusta società sicana fin dalla sua prima costituzione, riteniamo nostro dovere, in questo studio, fornire al lettore gli strumenti affinché egli, in autonomia, possa riuscire ad aprirsi una personale via di indagine, tenendo ben presente la problematica che pone lo studio di un periodo così lontano dal nostro.

Il Matriarcato.

Riteniamo che la parola matriarcato si debba intendere come un atteggiamento protettivo, conservatore, insito nella natura della madre, che accudisce e custodisce la propria prole, paurosa del cambiamento che con sé porta incertezze. La madre, per propria natura, teme il cambiamento, anche se questo potrebbe potenzialmente essere apportatore di benefici. Ogni novità, per la madre, è foriera di destabilizzazione del sereno, consolidato status quo. Su questa base, dunque, poggia la questione: tanto il matriarcato quanto il patriarcato, si identificano con un atteggiamento, una inclinazione dello spirito.
La questione non va posta perciò in termini di cromosomi. Immaginare come causa dell’affermazione del matriarcato il subentrare di atteggiamenti di mollezza ed effeminatezza assunti dal sesso maschile, sarebbe un errore. La mollezza, quale concausa, potrebbe essere soltanto l’aspetto più esteriore della decadenza interiore, della perdita di un centro di forza interiore che avrebbe dovuto esercitare un ruolo stabilizzante della propria identità. Ci sembra tanto vero quanto affermato che si può infatti notare nell’atteggiamento dei Cretesi dell’età del bronzo, guidati dal nerboruto re Minosse, come questo atteggiamento si conformi piuttosto ad una visione del mondo. Lo storico greco Erodoto, ci fa sapere, con suo personale sconcerto, che i Cretesi chiamavano “Matria” la Patria e che, al contrario dei Greci, onoravano le madri piuttosto che i padri. Lo storico di Agira Diodoro, ci porta a sua volta a conoscenza del fatto che, i Cretesi, giunti in Sicilia al seguito di Minosse, nel tentativo di rendere tributaria l’isola, sebbene venissero scoraggiati da questo tentativo dal re sicano Kokalo, dopo che Minosse era morto, rimanendo l’esercito cretese in Sicilia, fu concesso loro di fondare una città ove rendere onore alle madri. L’episodio citato dallo storico di Agira è tanto prezioso in quanto, tra le righe del racconto, lascia intendere come il culto delle madri non appartenesse al costume sicano, in caso contrario, infatti, non si sarebbe reso necessario che i Cretesi lo introducessero. Che la civiltà sicana si fondasse sul diritto paterno, e che questo perdurasse ancora fino a quando i Greci cominciarono a introdurre le tirannidi nell’isola, lo si evince da un passo della preziosa Biblioteca Historica di Diodoro Siculo. Lo storico narra che, dopo la battaglia di Himera del 480 a. C., Gelone, tiranno di Siracusa, per onorare gli Etnei, che con il loro contributo militare avevano deciso le sorti del conflitto a favore della coalizione greco sicula contro i Cartaginesi, fa costruire nella città di Etna, a proprie spese, un tempio dedicato a Demetra, che nella città mancava. Ricordiamo al lettore, che secondo le nostre ricerche, verificabili in quanto pubblicate, la città di Etna veniva rinominata nel 400 a.C, in Adrano.
Chiarito dunque il presupposto che non si aderisce al matriarcato o al patriarcato per una questione di corredo cromosomico, si deve ricercare il motivo di tale adesione in una affinità elettiva, dalla quale l’individuo viene spontaneamente attratto. Dopo tale premessa, e i postulati sopra elencati, spingiamo oltre la ricerca, col fine di tentare di comprendere a quale delle due visioni del mondo i Sicani aderirono.

Il Teonimo.

Premesso che della cultura sicana si conosce ben poco, avendo i Greci fatto tabula rasa delle fonti storiche e adattato i miti sicani alle proprie esigenze, stravolgendo i significati metaforici da essi veicolati, la nostra indagine deve necessariamente avvalersi della multidisciplinarietà e in particolare dello studio comparato dei miti e delle religioni. Riteniamo che lo studio della religiosità di un popolo sia molto importante per i fini che ci siamo dati in questo studio, poiché dalla sua comprensione si individuano i comportamenti sociali che di quella religione sono l’espressione. Pertanto, laddove non saremo in grado di consultare le fonti storiche per la loro assenza, chiameremo in causa il simbolo e il mito a cui spesso la stessa storia si rifà per risalire alle origini e ci affideremo all’interpretazione del significato dell’onomastica.

Significato di Sicano.

Il termine Sicano, oltre che indicare l’abitante dell’isola chiamata Sicania, cioè la Sicilia, indicava colui che orgogliosamente si riteneva progenie dell’Avo primordiale. Il sostantivo Avo, nella lingua sicana, secondo i risultati a cui siamo pervenuti attraverso gli studi della lingua parlata da questo popolo, da noi pubblicati su saggi e articoli, veniva reso con il termine Ano. In Sicilia il sostantivo sicano Ano, veniva preceduto dall’aggettivo odhr, cioè furioso. Sarebbe dunque sufficiente registrare la presenza del sostantivo Ano, cioè Avo, con cui si faceva riferimento al capostipite del popolo sicano, perché questo vetusto popolo, il primo che abitò la Sicilia, si possa assimilare alla grande famiglia degli Indoeuropei. La cultura di questi ultimi, infatti, era caratterizzata dal ritenersi gli eredi dell’Avo comune. La percezione di questo Avo comune, dalla Germania all’India, sotto l’influsso di adattamenti locali, veniva aggettivato dai Greci antico cioè ur: ur.Ano; percettivo o sensitivo dai Latini: jah.Ano (Giano bifronte); mentale dagli Indiani e dai Germani: mn.Ano, cioè Manu per i primi e Manno per i secondi da cui deriva l’etnico Alemanno; semplicemente Avo, Anu, dai Sumeri. Di più, il termine Sicano si spingeva oltre la semantica della genetica, esso intendeva esprimere, oltre al patronimico, grazie al pronome riflessivo sich, che significa sé, se stesso, che precede il sostantivo Ano, un concetto di consustanzialita’, volendo trasmettere una garanzia della continuità della stirpe e della tradizione atavica. Sopra si è fatto cenno al corrispondente teonimo romano: Jah.Ano, ovvero Giano bifronte, la citazione non è casuale, in quanto tornerà utile per le affermazioni che faremo più avanti. I Romani, che fondarono la propria civiltà sul diritto paterno, giunti in Sicilia nel 263 a. C., ebbero il primo scontro con la città di Adrano, la quale ospitava il grandioso santuario del dio eponimo. I Romani intuirono che il dio etneo era l’omologo del dio laziale Jah.Ano, un dio guerriero che Cicerone nelle verrine, anni dopo definirà “imperatore”, in quanto la statua da lui osservata a Siracusa riprendeva il dio sicano in atteggiamento marziale: armato di lancia, così come anche Plutarco (Vita di Timoleonte) l’aveva descritta quando nel 344 a.C., il dio siciliano aveva mostrato il proprio consenso al condottiero greco Timoleonte. La presenza del dio Sicano in Sicilia – Sicana era anche la divinità laziale- non può non accomunare la cultura Sicana di Sicilia a quella sicana del Lazio a cui fa riferimento anche Virgilio nell’Eneide e, dunque, alla civiltà di quei Sabini, che Cicerone, nel “pro Ligario” definiva “fortissimi viri” e romana, incentrata sul diritto paterno. Tra l’altro, l’affinità religiosa – e la religione conforma le civiltà– tra i Siciliani e i Romani, traspare dal principio di accoglienza e ospitalità che caratterizza anche il dio laziale, il quale, secondo il mito latino, condivise il regno con il transfugo dio Saturno fraternamente accolto. Lo stesso spirito di accoglienza lo si rinviene nell’atteggiamento dei regnanti siciliani quali furono Alcinoo, Cocalo, Iblone e l’infinita lista di altri ancora.

L’Avesta.

Nell’Avesta, il testo religioso dei Persiani, un documento per noi di estrema importanza, in quanto ci permette di comparare il dio creatore Haura Mazda con il dio sicano Adrano, si osserva come il dio di Zarathustra sia un dio che impone l’equilibrio, la misura, come del resto, l’etimologia del suo nome Mazda derivante dal germanico – in tedesco Maß, Mass significa misura-, lascia intendere. La religione mazdea, fondata sul diritto del padre, si oppone dunque a quello della madre in cui, la natura femminile, difficilmente trova un proprio punto di equilibrio e di misura, passando dal matriarcato alla ginecocrazia per finire agli estremi dell’innaturale amazzonismo. La posizione mazdea sul patriarcato ci appare così in linea con quella sicana, che essa poté esprimersi perfino attraverso la medesima lingua (vedi il saggio: “Il Paganesimo di Gesù” gratuitamente fruibile attraverso il sito www.miti3000.eu). Infatti, nello Yast zamyad del testo vedico, descrivendo l’origine delle montagne, fra quelle elencate ne figura una che porta il nome di Adarana. In un’area geografica europea, il nome Adrana veniva dato dai Germani al fiume che oggi si chiama Eder (da odhr furioso). La presenza dello stesso nome apposto a molti fiumi sia in Persia che in Germania, come in Spagna e in Sicilia, non deve stupire il lettore, dal momento che Erodoto citava la presenza di tribù germaniche in Persia al tempo di Ciro. Germani, Persiani e Sicani condividevano dunque sia la lingua originaria che la visione del mondo.

Discendenza Patrilineare.

La conseguenza di quanto sopra affermato, cioè l’identificazione del Sicano con il proprio Avo, determinato dal pronome riflessivo sich, sé, se stesso, contraddicendo gli studiosi che sostengono tesi opposte alle nostre, ma che nei decenni precedenti si sono affermate non tanto per le prove da essi apportate, ma per l’autorevolezza di chi sosteneva quelle tesi, fa del Sicano il più eminente rappresentante della famiglia indoeuropea, in quanto la successione veniva garantita per via patrilineare. Il Pantheon sicano non sembra essere affollato da un numero caotico di divinità che caratterizza la civiltà ginecocratica di altri popoli, esso si basa sulla triade divina: la famiglia, composta dal padre, dalla madre e dai figli, che in Sicilia in numero di due, gemelli, espressero il concetto di complementarietà di forze apparentemente opposte.
È vero che non possiamo attingere a fonti dirette che attestino quanto sopra affermato, tuttavia, frammenti di letteratura che ripropongono alcuni miti Sicani, seppur rielaborati in chiave greca, quale è quello de “Le Etnee” di Eschilo, ci autorizzano ad azzardare quest’ultima ipotesi. Nel mito sicano sopra citato, rielaborato da Eschilo, la successione non accenna ad una via matrilineare come accadeva, per esempio, per i Lici, tra i quali la figlia aveva una preminenza sul figlio; la sorella sul fratello, anzi, l’eredità femminile, nel caso del mito sicano dei gemelli Palici figli di Adrano, è completamente assente e le due forze che si oppongono l’una all’altra, scaturite come forze equilibratrici, emanazione della forza uranica del padre, a beneficio della discendenza umana, a differenza del mito greco dei gemelli divini Apollo/Artemide o di quello sumero Utu/Innanna e altri ancora, sono entrambi maschie.
La presenza in Sicilia di principi sicani, di estrazione aristocratica, a capo delle città stato dell’isola, dall’età del bronzo fino a quella greca, citati dagli storici greci, non lascia dubbi circa la gestione olimpico virile della società sicana. La citazione da parte di Polieno dell’antronimico Teuto, principe sicano, vissuto nel VI sec. a. C. – – vittima della perfidia del tiranno greco Falaride-, primus inter pares nella città di Innessa, poi rinominata Etna come afferma Diodoro siculo e infine Adrano come emerge attraverso le nostre ricerche, induce a pensare che la gestione della propria comunità, avesse da parte del principe Teuto una connotazione paternalistica; infatti, l’appellativo teuto significa padre del popolo. Il nome Teuto era frequentissimo fra i regnanti indoeuropei: Teuta era infatti il nome o l’appellativo della regina degli Illiri; Teutomato quello del re dei Galli Ambrogeni ecc. I re sicani, – compresi quelli del Lazio della prima ora, dei quali facevano probabilmente parte Latino e successivamente Numa- venivano scelti per le loro virtù e queste virtù erano garanzia del loro futuro operare a beneficio del popolo. Il re era altresì garante del mantenimento dell’armonia universale, rinvenibile ad Adrano e a Sumer nel simbolismo del numero otto, ad Adrano anche attraverso le spirali incise su capitelli di basalto esposti nel museo cittadino. Anche Thot, Theuth per i Greci, la divinità egiziana equivalente alla greca Ermes, elargiva gratuita conoscenza al proprio popolo. Dunque, il titolo di Theuth, padre del popolo, è collegabile al latino Tito, che nella sua forma originaria ebbe il significato di genio, come si evince dalla iscrizione cumana “Tito Sanquvos”, genio Sancus. Le incisioni rupestri della Val Camonica, a sua volta, si lasciano collegare a quelle svedesi di Tanum in Svezia. Nelle incisioni rupestri della Val Camonica, così come in quelle svedesi di Tanum, sono del tutto assenti figure femminili, mentre abbondano quelle maschili che brandiscono asce bipenne o sollevano ruote solari.

Il principio olimpico virile nel simbolismo dei Sicani.

Simbolo solare. Adrano.

Nell’ambito del simbolismo utilizzato dal popolo sicano, in Sicilia l’astro luminoso, cioè il sole, ebbe un ruolo di centralità, al punto che fra i tanti toponimi apposti all’isola figura anche quello di isola del sole, abitata dai figli del sole cui fa cenno Apollonio Rodio. Fin dal Paleolitico, come dimostrano i numerosi reperti (rocce bucate) per la celebrazione del solstizio e che sono stati definiti calendari solari, sparsi per il territorio isolano, il culto tributato al sole fu centrale nella cultura sicana. Questa civiltà, come si evince dal simbolismo adottato, paragonava la fissità dell’astro all’ideale uranico di immutabilità, incarnato dal padre, in opposizione alla mutevolezza della luna, collegata alla donna. Le espressioni lessicali sicane

Simbolo solare. Adrano
Simbolo solare

utilizzate nelle iscrizioni funerarie ritrovate ad Adrano non lasciano spazio a dubbi circa la visione olimpica che questo popolo aveva del mondo. Le epigrafi fanno sempre riferimento ad un regno del sole, che il defunto avrebbe dovuto raggiungere. Il regno di luce a cui si fa riferimento nei tegoli, così come in iscrizioni adranite riconducibili a formule rituali di iniziazione ai misteri, era il luogo in cui si trovava anche la sede di Ano, cioè, il regno della luce coincideva con il regno dell’Avo.
Infatti, il lemma An, che significa antenato, era sinonimo di cielo, motivo per cui il re, che dell’Avo celeste era la trasposizione terrena, veniva appellato figlio del cielo – in Giappone il titolo viene ancora utilizzato nei confronti dell’imperatore-. Un ricordo della cultura ancestrale che fa derivare l’uomo dal Padre Cielo, lo si ritrova pure nell’Antico Testamento. Dunque, era in torto Erodoto a meravigliarsi del fatto che i Cretesi chiamassero matria la patria, poiché essi erano nel giusto quando accostavano la terra alla donna, poiché l’antica patria dell’uomo fu considerata non la terra, ma il cielo e ad esso egli ambiva a fare ritorno.

Il Simbolismo attribuito al numero nella cultura Sicana.

Tavoletta mesopotamica. La croce richiama per stile le croci rinvenute nel territorio adranita

Come sopra affermato, per comprendere al meglio la cultura sicana, mancando le fonti dirette degli storici del tempo, dobbiamo ricorrere alla multidisciplinarietà e alla comparazione con i popoli affini. Uno dei popoli con i quali i Sicani condividevano conoscenze e tradizioni mitiche è quello dei Sumeri. Presso questo popolo, il quale adottava per il proprio antenato divinizzato lo stesso sostantivo utilizzato dai Sicani, Anu, all’Avo veniva attribuito il numero sessanta, che nella scala sessagesimale adottata dai Sumeri rappresentava il vertice del Pantheon.

Oggetto non catalogabile. Rinvenuto nel territorio adranita. Il n. 8 e lo stile con cui è stata realizzata la croce riconduce ad un simbolismo in uso anche in Mesopotamia.
Simbolo solare nel pavimento di una tomba a grotticella. Castiglione di Sicilia.

Il pittogramma che indicava il dio sumero Anu era un sole con otto raggi. Il Pantheon sumerico era formato da dodici divinità il cui numero doveva rimanere immutato, sebbene gli dèi che ne facevano parte potessero alternarsi.
La sposa di Anu, Antu, seguiva la scala numerica con il numero cinquantacinque; cinquanta era il numero assegnato al primogenito di Anu Enlil, destinato a regnare dopo il padre, e quarantacinque era il numero che contraddistingueva la di lui consorte, e così via fino all’ultima delle dodici divinità.
Come si può dunque constatare, il vertice veniva sempre occupato da una divinità maschile, mentre quella femminile veniva a trovarsi in uno stato di subalternità. .

Il Simbolismo della Trinacria.

La più antica rappresentazione delle tre gambe, ritrovata in Sicilia, il cui nome Trinacria significa le tre forze dell’Avo o del Cielo, è quella di Palma di Montechiaro. La Trinacria di Palma di Montechiaro è caratterizzato dall’aver un apparente senso rotatorio che va da destra verso sinistra, dettato dalla posizione dei piedi. Ora, nell’ambito simbolico, la destra corrisponde al simbolismo attivo, virile e uranico della natura. La suddetta Trinacria, dipinta su un piatto del XII sec. a.C., forse proveniente dalla reggia del re sicano Kokalo, ha ,dunque, lo stesso andamento apparente del sole, simbolo questo, è il caso di ricordarlo, associato alla componente virile, all’uomo. Anche la scrittura sicana aveva il medesimo andamento. Nella cultura indoeuropea, tutto ciò che proveniva da destra, aveva un valore augurale, rappresentava, cioè, un segno di benevolenza divina. Quanto affermato per la Trinacria vale pure per la svastica dipinta su un vaso esposto nel Museo di Caltanissetta.

Le Veneri del Paleolitico.

Il territorio adranita, a motivo della costruzione del tempio dedicato dai Sicani al capostipite Adrano, rappresenta il fulcro degli studi per la comprensione della religione sicana, in quanto, quale nucleo religioso isolano, grazie alla presenza della casta sacerdotale, le tradizioni ataviche si conservarono più a lungo che altrove. L’ampio territorio adranita, rappresenta altresì il centro più importante per gli studi preistorici in Sicilia, ciò grazie ai numerosi reperti dell’epoca ivi ritrovati. Dall’altro lato, a nostro parere, gli studiosi non si sono sufficientemente soffermati sul significato simbolico tracciato dalle pitture vascolari, liquidato semplicisticamente come decorazioni. A nostro avviso, questi manufatti trasudano, attraverso la simbologia espressa, la weltanschauung di cui ci stiamo occupando in questa sede. Le numerose asce martello, ritrovate nelle grotte laviche utilizzate come luoghi di sepoltura dal periodo Paleolitico al Neolitico, ricavate dal duro basalto lavico, alcune maneggevoli, di media grandezza, utilizzabili come arma di difesa e di offesa, non lasciano spiegazione alla presenza di altre asce martello di pietra di enormi proporzioni, non facilmente maneggevoli per uomini di media statura. È nostro parere che nel secondo caso, ci si trovi in presenza di asce utilizzate a scopo rituale – i patrizi latini durante il rito del matrimonio, usavano sacrificare un maiale colpendolo con una ascia di pietra–, la loro presenza testimonia, forse, la volontà di sottolineare che si faceva parte di una civiltà che fondava sulla forza e sul diritto virile la propria civiltà. Per lo stesso motivo asce giocattolo si depositavano in tombe di bambini, ritrovate in Svezia. Lo stesso dicasi per il considerevole numero di corna preistoriche riprodotte con argilla cotta, esposte nel museo adranita. Le corna simboleggiano la forza incontrollabile del toro, simbolo fatto proprio dai tiranni greci, ed è anche simbolo di virilità. Nessuna traccia di matriarcato è stata trovata nel territorio adranita, sono assenti gli idoli femminili, nessuna venere preistorica da venerare nel vasto territorio adranita che ospitava il santuario dell’Avo, progenitore della stirpe sicana. Non si è rinvenuto nel territorio dell’Avo, durante i numerosi scavi effettuati, nessun riferimento universalistico di tipo matriarcale che accenni a comunità promiscue; anzi, più in dietro si va nel tempo, più i reperti archeologici ritrovati testimoniano la presenza di una civiltà improntata sul principio della forza spirituale paterna, ostentata, perché no, anche attraverso simboli che, come le grandi asce martello, esprimevano la superiore forza fisica, garanzia di successo e stabilità.

Sepolture.

Particolare di un pithos con croci potenziate. Museo archeologico di Adrano

L’ascia martello, il simbolismo della croce nella duplice forma potenziata e a bracci che si allargano all’estremità, la sequenza di rombi che si susseguono prendendo la forma di serpi intrecciate che richiamano la sequenza del dna; tutti questi aspetti simbolici presenti nella tomba di quello che certamente doveva essere un nobile capo villaggio del IV mill. a.C., rinvenuta ad Adrano, sono intimamente connessi tra loro e tradiscono l’aspetto patriarcale della gestione della comunità sicana.

Ruota del sole su capitelli lavico in arte sicula. Adrano.

Colpisce in particolare la presenza della croce, che trova una forte analogia con le croci rinvenute in Mesopotamia. Lo studioso Zachariah Sitichin si è spinto ad interpretare questo simbolo ritrovato nell’area mesopotamica, in termini astronomici, indicante l’incrocio di pianeti.Certo è che lo studio degli astri era in Mesopotamia una pratica consueta ed importante, non c’è motivo alcuno per non considerarla tale anche nella terra sicana, taluni indizi, come la presenza dei simboli solari della ruota raggiata, le spirali, la svastica, i cerchi incisi nella

Ruota del sole in una sepoltura svedese.

pietra arenaria da noi rinvenuta, i calendari solari, il megalitismo, lo lasciano pensare. Abbiamo ritenuto che la Sicilia fosse un “crocevia” importante battuto da sempre da eroi di ogni età : Greci, Troiani, Cretesi; vi fecero scalo gli Argonauti, semidei come Ercole, Enea, Minosse, eroi come Ulisse.. Mito o no, i racconti afferiscono all’idea che la Sicilia rappresentasse nell’immaginario collettivo un luogo in cui bisognava recarsi per conseguire qualcosa che ancora ci sfugge.

Conclusione.

Quanto esposto sopra potrebbe far pensare alla forzatura narrativa di un ricercatore che, innamoratosi della tesi esposta, tenta di cancellare ogni forma di presenza matriarcale nella civiltà sicana, pur avendo sostenuto in principio la necessità di una compresenza equilibratrice delle due visioni del mondo. Ebbene, rassicureremo il lettore accennando alla presenza del culto tributato alla dea Hibla o Etna e di un principe sicano di nome Iblone che riteniamo essere stato un probabile sacerdote di questa divinità femminile in quanto, questo principe sacerdote incarna i tratti tipici del matriarcato: accoglienza dei profughi guidati da Archia per i quali fonda addirittura una città (vedi articolo: “La Sicilia preellenica: i Feaci e la fondazione di Sicher-usa (Siracusa)”, mostra compassione, è fondatore di numerose città intitolate alla dea (Hibla Major, Hibla Gereatis, Megara Hibla ecc.). La politica dl principe sacerdote Iblone dimostra che il culto della madre ebbe la sua importanza anche in Sicilia, terra feconda e generosa, equiparabile al grembo materno. Tuttavia, oltre agli importanti misteri di Demetra, celebrati ad Enna, dimora della dea, il culto che nell’immaginario collettivo sopravviverà fino all’avvento del dio dei cristiani, e che manterrà vivo tutto il proprio carisma, sarà il culto tributato all’avo Adrano, divinità che i Romani temettero ed equipararono al loro Avo primordiale Jah.Ano (Giano bifronte). Cicerone, come già affermato sopra, fa ancora cenno all’epoca sua, alla divinità indigena Urio, cioè l’antico, il cui tempio si trovava anche a Siracusa e dove si recavano i pellegrini Siculi provenienti da tutta la Sicilia, così come avveniva ad Adrano nei confronti del dio eponimo, tanto che si dovrebbe prendere in considerazione l’ipotesi che Urio, l’antico, fosse uno dei tanti appellativi utilizzati per indicare l’avo primordiale o antico Adrano.

Ad maiora.

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