L’ETNA E ‘A MUNTAGNA DEI SUMERI

L’ETNA E ‘A MUNTAGNA DEI SUMERI.

Dobbiamo ringraziare uno youtuber se le nostre ricerche stanno sempre più affondando la vanga nel cuore della storia siciliana. Ci è sembrato pertanto doveroso da parte nostra compiere nei confronti di questo giovane ispirato youtuber, e cosa utile per i lettori che guardandolo potranno meglio comprendere di che cosa ci si stia occupando in questo studio e nel contempo trarre proprie conclusioni, pubblicare il link assieme alle deduzioni da noi tratte: https://youtu.be/fIq-dbD-1JA?si=3aTl3ml81Qsg_wMX
Il racconto immortalato in caratteri cuneiformi su questa tavoletta del XVI sec. a.C., come si afferma nel video, narra una delle tante guerre combattute su scala planetaria dagli dèi, chiunque costoro fossero e qualsiasi sia il valore semantico da attribuire all’aggettivo dio. Dal racconto emerge, secondo quanto verrà qui da noi ricostruito, che la sede, o quartier generale come sarebbe più appropriato definire, di Anzu, un individuo che ha dichiarato guerra alla dinastia di Anu volendola sostituire con la propria, si trovava presso una non meglio identificata montagna.

L’ETNA.
Il lettore sa bene che nelle vaste pianure della Mesopotamia non esistono montagne, dunque la montagna su cui Anzu installo’ la propria sede di comando andrebbe cercata fuori da quell’area geografica. I riferimenti al vulcano siciliano nella mitologia sumera, sono numerosi e li troviamo già in un’altra opera babilonese intitolata L’epopea di Gilgamesh di cui abbiamo abbondantemente disquisito nel saggio “Sicania, il futuro scritto nel mito”, gratuitamente fruibile nei siti di miti3000.eu e Adranoantica.it, di conseguenza non vi torneremo in questa sede; sappia però il lettore, che i miti sumerici riguardo al vulcano Etna, ‘A Muntagna, continuarono ad essere divulgati presso i Greci. Ricordiamo infatti al lettore, che i Greci mutuarono la loro mitologia dalle civiltà con cui vennero a contatto, tra queste quella sumera. In questo mito si limitarono a sostituire i nomi delle divinità protagoniste dei miti sumerici, sebbene Erodoto nella sua gigantesca opera, “Storia”, ricordi che i nomi delle divinità greche derivano da quelli egizi-. Siamo dell’avviso che il dio sumero Enki, molto coinvolto nelle azioni narrate dal mito qui preso in esame e che porta il titolo di Il Mito di Anzu, venisse appellato Efesto dai Greci essendo numerose le affinità fra i due. Il Dio fabbro, come ci si ricorderà, viene sempre presentato dai greci intento a batter ferro. Egli utilizza la incandescente lava del vulcano per costruire armi degli dèi e dei semidei: ora le saette per Zeus, poi lo scudo per Achille come afferma Omero nell’Iliade e infine quello per Ercole come racconta Esiodo nel poema Lo scudo di Eracle. Nel mito di Anzu, è Enki, l’Efesto greco, a fornire a Ningirsu l’ arma che sconfiggerà Anzu, il nemico degli dèi.
Noi supponiamo che la mitologia greca sia nata da una esigenza di propaganda per la nuova potenza mondiale, la Grecia, che cominciava ad affermarsi nei cambiati equilibri geopolitici del pianeta, equilibri sempre precari a motivo della continua lotta per il potere che le “divinità” volevano ognuna per sé.
Di conseguenza non appare inopportuno supporre che il mito greco della Titanomachia, in cui si racconta di una guerra globale combattuta tra Zeus e la sua parte da un lato e i Titani che intendono spodestarlo dall’altro lato, non sia che una versione greca del Mito di Anzu, mito che, a nostro avviso, non avrebbe avuto origine in Mesopotamia, rappresentando questa terra soltanto una delle tante aree geografiche in cui le storie vennero raccolte e conservate di solito presso la reggia. Di tale abitudine si ha testimonianza all’epoca dell’ illuminato re Assurbanipal, che si vantava di aver raccolto nella sua biblioteca testi del periodo antidiluviano. I testi erano stati raccolti dai numerosi luoghi conquistati dal colto re assiro, la cui complessa scrittura egli si vantava di aver imparato a leggere, ed era ancora motivo di vanto per Tolomeo, che in Egitto costituì la famosa biblioteca di Alessandria.

Nel Mito di Anzu, dunque, e nella Titanomachia, la guerra viene combattuta tra dèi in un territorio che coinvolge un’area geografica enorme e imprecisata, con il risultato finale in entrambi i miti, che la ribellione viene domata e ripristinato lo status quo. Nel mito sumero, come si è detto, Anzu è il nome del condottiero che mina il potere del dio del cielo Anu. Il nome Anzu, secondo il metodo interpretativo da noi messo in essere e che il lettore ormai conosce, significa colui che viaggia per il cielo, essendo il nome formato dall’unione dei lessemi an che significa cielo e zu, che indica moto per luogo, direzione; pertanto giunge significativo che Anzu, nel mito, venga appellato aquila, metafora giunta fino ai nostri giorni riferita all’aviazione militare. Nel racconto sumerico è lo scienziato Enki, la divinità sumera che abitava l’Abzu, cioè la placca tettonica africana di cui fa parte la Sicilia, che, come farà Archimede in seguito per combattere i Romani, inventa e fornisce le armi innovative, come diremmo oggi al condottiero della casata di Anu, Ninurta, o Ningirsu che appellare si voglia, per abbattere il potere smisurato che Anzu aveva acquisito con l’inganno, derubando il dio Enlil di non meglio specificate carte astronomiche e segreti di vario genere (la valigetta con cui vengono raffigurate le divinità sumere?), quando questi, che era uno dei suoi generali, aveva libero accesso nella stanza dei bottoni – ancora oggi nei momenti di crisi internazionale i presidenti delle nazioni viaggiano con una valigetta in cui pare che siano contenuti “i destini” del mondo, potendo provocare guerre catastrofiche per il pianeta. Non passi inosservato che nella terminologia sumerica si utilizza spesso il termine destini come equivalente di poteri.

Ora, nei precedenti studi avevamo dimostrato che Enki aveva la sua sede in Sicilia, nell’Abzu, nella parte sud occidentale del vulcano Etna, dove avrebbe costruito un laboratorio, essendo uno scienziato a tutto tondo. Pertanto, come abbiamo ipotizzato nell’articolo “Perché tutti si recavano in Sicilia”, i principi della terra erano costretti a recarsi presso lo scienziato se desideravano ottenerne i favori. Chi vi si recava con prepotenza, come nel caso di Minosse, rischiava di non fare più ritorno in patria. La morte di questo potente re cretese avvenuta fra le segrete stanze del re sicano Kokalo – sulla quale non si è indagato sufficientemente– perché avventuratosi con una potentissima flotta alla volta della conquista dell’isola divina, dovrebbe indurre gli studiosi a interrogarsi di quali forze si disponesse nell’isola.

LA VALLE DEL BOVE, IMPLOSIONE NATURALE O DISASTRO MISSILISTICO?

Dal racconto mitologico dell’evento disastroso – che consigliamo al lettore di ascoltare dal link sopra pubblicato prima di proseguire nella lettura della tesi qui proposta – evento non collocabile cronologicamente ed esposto in chiave allegoria, come era consuetudine fare in quella antica cultura, tecnica forse utile al fine di edulcorare eventi disastrosi che spesso hanno minato la stessa sopravvivenza della civiltà del pianeta Terra, appaiono chiari i riferimenti ad una guerra nucleare combattuta tra due fazioni opposte. È altrettanto evidente che l’obiettivo da colpire è il quartier generale (etneo?) di Anzu, il quale nel testo viene affermato trovarsi presso la inaccessibile Montagna. Emerge che, secondo i piani, l’obbiettivo una volta colpito e reso inoffensivo avrebbe condotto alla sconfitta del nemico e alla cessazione delle ostilità – una sorta di bomba di Hiroshima ante litteram? – . Si soffermi il lettore siciliano sul termine ‘A Muntagna’, che noi utilizziamo ancora oggi per indicare l’Etna. Per il siciliano l’Etna è ‘A Muntagna” per eccellenza e così chiamandolo non si incorre certo nell’ equivoco di scambiarlo per una montagna qualsiasi. Si noti ancora che nel testo sumerico, l’articolo determinativo utilizzato presuppone che i Sumeri facessero uso del nome nella stessa accezione. Del resto, osservando la Terra da qualsiasi satellite oggi in orbita, l’unica montagna ad essere individuata senza tema di creare confusione con le altre presenti nel pianeta, è ‘A Muntagna, l’ Etna. Ritenendo molto probabile che la montagna di cui parla il mito sumero si riferisca all’Etna, e che la devastazione che Enki provoca con la sua arma letale sia stata apportata ad essa, ci chiediamo se possa essere giustificata, utilizzando una buona dose d’immaginazione che al ricercatore è necessaria per costruire le sue ipotesi di lavoro, la tesi secondo la quale l’enorme depressione denominata Valle del Bove – la cui genesi è tutt’oggi oggetto di studi da parte dei geologi, ma che questi comunque ipotizzano che possa attribuirsi ad un periodo intorno ai sessantaquattro mila anni fa – possa essere la conseguenza dell’esplosione dell’arma costruita da Enki, forse appellato odhr (odranu/adrano) in Sicilia, ovvero il furioso, proprio nell’occasione di questo catastrofico evento. Una osservazione che sottoponiamo all’attenzione del lettore, sebbene di primo acchito possa apparire puerile, consiste nel fargli notare che la Valle del Bove si trova sul versante orientale dell’Etna e si presenta come un enorme cratere dai margini però non simmetrici. I margini del recinto craterico, infatti, si presentano inclinati, come se la montagna fosse stata colpita da un proiettile che proveniva da est e lanciato con inclinazione a quarantacinque gradi. Il proiettile non avrebbe perciò colpito la montagna in “caduta” libera, ma, “lanciato” da un mezzo in volo che proveniva da est (Medio Oriente?). Adottando un approccio laico all’analisi degli eventi che si sono verificati sul pianeta Terra nei millenni precedenti, con particolare attenzione alk’ area etnea, ecco che anche il famoso passo di Diodoro Siculo, in cui lo storico afferma che il popolo dei Siculi si insedió pacificamente nella zona orientale della Sicilia, trovata vuota di genti, si presta ad una nuova interpretazione: i Sicani avrebbero abbandonato l’enorme area etnea in seguito ai rumori di guerra che in quel tempo si susseguirono minacciosi. Se poi volessimo tracciare un parallelismo tra la compassione dimostrata da Enki verso una parte della popolazione mesopotamica mettendone in salvo una parte prima che il disastro del diluvio sopra giungesse, e quella del dio siciliano Adrano, a cui secondo il mito era stato dedicato un tempio alle falde dell’Etna, presso la città che porta il suo nome, dovremmo supporre che i Sicani avrebbero abbandonato l’area etnea avvertiti dal dio. Nonostante l’incredulità della ricostruzione qui tentata, ipotesi che farà storcere il naso a molti studiosi che comodamente dai loro pulpiti preferiscono aggiungersi alla cordata della tesi canonizzata, riteniamo che non possa più mettersi in discussione l’esistenza di civiltà antidiluviane che si sono avvicendate nel corso dei quattro miliardi e cinquecento milioni di anni da che la Terra si è formata. Queste civiltà del resto hanno lasciato strutture oggi non facilmente riproducibili, nonostante le avanzate tecnologie di cui gli scienziati dispongono. Come ignorare ancora il rinvenimento di quegli oggetti definiti fuori dal tempo ? Questi, secondo la canonizzata cronologia della frequentazione dell’uomo sul pianeta, non dovrebbero esistere. Basti qui far accenno alle impronte fossilizzate di piedi umani datate a milioni di anni fa ritrovate in più aree geografiche del pianeta. Pertanto concludiamo il nostro excursus con la ovvia deduzione che la Sicilia orientale possa essere stata sede di una civiltà avanzatissima, di cui un Archimede e un Majorana non rappresentano che gli eredi più conosciuti. A noi Siciliani che dopo e prima i due illustri scienziati sopra citati la divina isola abbia dato ospitalità a esoteristi, astronomi, alchimisti della portata di un Fibonacci e di un Michele Scoto, non desta meraviglia alcuna.
Ad majora.

Francesco Branchina

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