I Sicani in Adrano: Il Pagus e il territorio.

Fu detto che il cercare rappresenta una esigenza dello spirito, un modo di essere, tipico di chi non si accontenta di fermarsi alla superficie delle apparenze. Facendo nostre tali affermazioni, tuttavia, bisogna riconoscere che il ricercatore corre il rischio, a volte, di rimanere incastrato nelle fitte maglie di una rete di tesi delle quali si è pregiudizievolmente innamorato. Vorremmo, pertanto, in rispetto alle Muse, gelose custodi della verità, mettere in guardia i nostri lettori invitandoli a verificare quanto di volta in volta affermeremo e, là dove siano in grado di farlo, correggerci fornendo il proprio contributo in questo sito.

PREMESSA
Le ricerche da noi condotte nel territorio di Adrano, non sono motivate esclusivamente dall’orgoglio di appartenenza che, tuttavia, le alimenta, ma da una domanda che ricorre in noi con ritmica frequenza: perché? Perché i nostri Avi scelsero il territorio adranita per erigervi la dimora del dio nazionale sicano, Adrano?

LA DIMENSIONE RELIGIOSA LEGATA AL TERRITORIO.

Plastico che riproduce in scala parte del territorio adranita.

Per rispondere alla domanda sopra posta, dobbiamo entrare in empatia con il mondo degli Avi, un mondo complesso che rappresenta il risultato di una sommatoria di elementi che interagivano tra di loro. La componente paesaggistica, le forze extrafisiche promanate dal luogo, avrà avuto certamente una influenza non indifferente nel plasmare la cultura dei Sicani, la loro filosofia, la loro visione del mondo. L’uomo di quel tempo si sentiva parte del mondo, della natura. Gli Dei si manifestavano in ogni cosa: nello splendore di una gioiosa alba o nel malinconico barlume del crepuscolo; l’uomo si sentiva in armonia col cosmo ed egli stesso si percepiva come un microcosmo parte del macrocosmo; atomo di quell’universo inteso come un corpo unico.

ricostruzione capanna

Il mondo esteriore riflette infatti il mondo interiore; l’uomo riflette il cosmo; la struttura del l’atomo riflette quella del sistema solare. Di conseguenza, nel tentativo di comprendere il loro mondo interiore, riflesso di quello esteriore, in cui vigevano parametri di valutazione diversi dai nostri, ricostruimmo scientificamente, consultando le fonti antiche, interessando la professionalità di geologi, archeologi, studiosi delle più diverse discipline scientifiche, maestranze locali, un plastico rigorosamente in scala 1:1.000, fruibile dal pubblico, che riproduce parte del territorio adranita con le ampie cascate di acqua ancora scroscianti agli inizi del XX secolo, oggi scomparse, fiumi disseccati, fitti boschi di querce, betulle e leccio popolati da cervi e cinghiali, come risulta dai reperti di ossa di animali neolitici ritrovati in loco, che cedettero la fertile zolla ai rigogliosi mandorleti impiantati nell’ ‘800 i quali, come afferma Cesare Abba nel suo diario di guerra diventato un libro di narrativa adottato dalle scuole negli anni ’60 , “da Quarto al Volturno” , con i loro nutrienti frutti aiutarono i Piemontesi a superare la carestia sopraggiunta nel XIX secolo. Dalla parziale ricostruzione del mondo abitato dai nostri Avi, dei suoi aspetti visibili, di quelli percepibili e intuibili (l’intuizione sopperisce alla assenza della storia scritta), arrivammo alla conclusione che gli abitanti della Sicilia tutta, allora chiamata Sicania, fino alla fine del III, inizi del II millennio a.C., vivessero in armonia con la natura, con il mondo, non interferendo invasivamente in esso attraverso la costruzione di strutture imponenti e come diremmo oggi, di impatto ambientale; la natura forniva loro cattedrali naturali. La Grecia che per vicinanza geografica maggiormente risentiva dell’influenza culturale dei popoli orientali, costruttori di ziggurat, piramidi, giardini pensili, edificarono tuttavia il primo tempio di pietra a Delfi dedicato ad Apollo soltanto nel XVII sec. a. C., mentre nel nord e nell’Europa centrale i Romani, ancora nel I sec. a.C. al loro arrivo non vi trovarono che pagliericci di canne nonostante quei popoli fossero abili costruttori di edifici megalitici, come dimostra la numerosa presenza di dolmen e menhir.

Dolmen in territorio di Bronte

Ma l’utilizzo della pietra rientrava nella visione religiosa del cosmo che essi avevano maturato in seguito alla osservazione del creato. Striderebbe, secondo il superficiale giudizio dell’osservatore moderno, la presenza di quelle fragili capanne con la mole delle conoscenze posseduta da quei popoli. Questi erano in grado di riprodurre su dei manufatti le costellazioni che riempivano la nera volta celeste, come dimostra il ritrovamento del disco di Nebra realizzato, secondo le opinioni degli accademici, nella “barbarica” Germania dell’età del bronzo, e come riferirà in seguito Cesare a proposito delle conoscenze dei Druidi e il lunghissimo apprendistato dei neofiti. La pietra, utilizzata grezza per la messa in opera dei megaliti, veniva accostata al concetto di eternità, di durezza, di potenza ed immutabilita’. Come sopra affermato, in Grecia, a Delfi, nel XVII sec. a. C. veniva costruito il primo tempio in pietra dedicato al dio della luce Apollo. Condividendo le intuizioni del Bacofen circa l’avvicendamento del matriarcato col patriarcato che verrebbero ad esercitarsi nella gestione del consorzio umano, vorremmo aggiungere una nostra personale intuizione sull’innovazione introdotta in Grecia nel modo di costruire il tempio di Apollo: riteniamo possibile che la costruzione di questo primo tempio in pietra, porti in sé un simbolismo fondato sull’affermazione del patriarcato in una società pregreca che fino a quel momento era retta sul concetto di matriarcato. La deduzione esposta prende corpo se si constata che il tempio del dio Apollo viene eretto, secondo il mito tramandato e confermato dall’archeologia, sulle fondamenta della dea sconfitta. Il tempio viene costruito in pietra in quanto la pietra veicola l’idea della durezza, della immutabilita’, della stabilità e incorruttibilita’, in opposizione al matriarcato a cui corrisponde il simbolismo dell’acqua e, dunque, della fluidità, della instabilità, del mutamento. Ma per chi fosse interessato a questo specifico argomento d’ordine metafisico, consigliamo la lettura della magistrale opera dell’autore sopra citato: “Il matriarcato”, ed. Brancato. Analizzando il procedere degli eventi nei secoli successivi, si constata che in Grecia vengono travisati i concetti veicolati dall’utilizzo simbolico della pietra sopra affermati. Lo si evince dalla ricercata raffinatezza architettonica ed estetica con cui vengono costruiti i templi. Non più la pietra grezza, ma lucide colonne marmoree sostengono la volta. I templi diventano sempre più imponenti, più lussuosi; essi saranno concepiti quali simbolo di affermazione di singoli individui, nel caso in cui ad edificarli siano dei tiranni, o dello stato, lungi dal rappresentare l’epifania del divino. Da questa surrogata visione del mondo dei padri, ecco giungere, un millennio dopo la costruzione del tempio del luminoso Apollo, l’inizio della fine dell’equilibrio cosmico con il ritorno del matriarcato. Questo è caratterizzato da una particolare attenzione, nella costruzione dell’edificio, all’estetica e all’effimero che valse ai greci, da parte dei nuovi “barbari”, i romani, con i quali gli effeminati Greci vennero a contatto, l’appellativo dispregiativo di “graecula”, ebeti contemplatori di statue che avevano perso la virilità di un tempo. Nel contempo, in tutto l’occidente, l’uomo iniziava ad esercitare il proprio dominio sul mondo che lo circondava. Egli, imponendosi sulla natura recideva consapevolmente il cordone ombelicale che lo legava ad essa.

IN SICILIA
Nell’isola proprietà dell’Avo primordiale Adrano, l’armonia tra uomo e natura dovette avere una vita assai più lunga che altrove, e Virgilio, nel comporre l’ Eneide, si sentì in obbligo di inserire nel suo poema un riferimento agli dei Palici, figli di Adrano, la cui ara si trovava, ed ancor oggi è lì a sfidare il tempo, sul greto del fiume Simeto, circondata da boschi popolati da Ninfe, nelle contrade dell’attuale e pur vetusta città di Adrano. Il poeta mantovano dimostra, con i suoi riferimenti siciliani, di conoscere bene la Sicilia e i suoi miti, del resto, nel comporre le bucoliche, il poeta aveva avuto nel siciliano Eraclito il suo riferimento stilistico. A nostra volta, grazie ad una ricostruzione paesaggistica, ottenuta con il contributo di diverse discipline scientifiche, ci sentiamo di poter affermare che l’isola, ancora fino al periodo in cui il poeta la decantava, trasudasse inalterata la sua primordiale genuinità.

Come di consuetudine condivideremo in questo articolo con i nostri lettori, alcune deduzioni, per quanto esse possano apparire poco accademiche, sottoponendole al loro giudizio, il solo che ci sta a cuore, non senza aver citato le fonti ispiratrici che ci hanno animato.

IL PRIMO CONTATTO CON LA CULTURA NORDICA

Oinochoe esposto nel museo di Caltanissetta

I commentari dello storico romano Tacito e quelli del divo Cesare, rappresentano per noi due fonti preziose e attendibili per ricostruire, per quanto sia possibile, le abitudini dei nostri Avi Sicani, la loro cultura, il senso spiccato della loro libertà individuale e collettiva. I due Romani sopra citati, pur descrivendo le caratteristiche dei popoli germanici, ci aiuteranno, come vedremo grazie all’ausilio delle discipline comparate (vedasi l’articolo: ‘I sicani: le origini e il sito‘ – miti3000. eu), a ricostruire quell’ epoca velata, della cultura sicana in Sicilia. I ritrovamenti archeologici in Sicilia, nel territorio adranita in particolare, risultano essere assai chiarificatori per ciò che concerne la nostra sostenuta affinità culturale tra la civiltà nord europea e quella siciliana della prima ora. Fra i reperti rinvenuti ad Adrano spiccano quelli che riproducono la simbologia delle spirali, delle ruote del sole, delle vasche sacre d’acqua che in Europa erano gestite dai druidi; appaiono nel territorio adranita, più che altrove in Sicilia, teonimi, toponimi, una diffusa onomastica, una oronimia ed epigrafi riconducibili alla lingua comune nordica (vedi l’articolo – la lingua dei Sicani – miti3000. eu). In altri luoghi della Sicilia abbonda il ritrovamento di svastiche disegnate su ceramica, presenza non ancora attestata, però, nel territorio adranita.

Quanto affermeremo qui di seguito troverà un senso per coloro che hanno seguito le nostre ricerche, attraverso le quali si è resa possibile e comprensibile la tesi delle origini comuni tra i Sicani e i popoli del nord Europa; tesi supportate, come è giusto che si esiga dal ricercatore, da prove oggettive. Molte di queste prove, poiché sono state esposte nei numerosi saggi e articoli apparsi un po ovunque, ritenendo tedioso per il lettore riproporle in questa sede, le ometteremo. I Sicani, dunque, facevano parte della grande famiglia degli Indoeuropei, di questi ne costituivano un ramo staccatosi durante il periodo delle grandi migrazioni post glaciali. I cambiamenti climatici sopraggiunti nelle varie epoche, l’ultima circa dodicimila anni fa, che rendevano sempre più invivibile la terra di origine, sono descritti nel testo sacro iraniano l’Avesta, e, indirettamente, utilizzando un linguaggio criptato da metafore, esposti nel Veda, testo sacro del popolo indiano. In quest’ultimo testo sarebbero contenute, secondo le dottissime conclusioni dello studioso indù B. G. Tilak le prove delle su dette migrazioni. Tilak, suffragata da prove testuali, nel suo saggio “la dimora artica dei Veda” propone la tesi secondo la quale il popolo veda provenisse dal circolo polare artico e che ivi abitasse prima dei cambiamenti climatici sopravvenuti. Uno degli effetti delle antiche migrazioni avvenute in univoche direzioni: da nord a sud, consisteva nel fatto che i popoli emigrati condividessero, ancora per un lungo periodo di tempo successivo alle migrazioni, una comune weltanshauung. Questa condivisione veniva tramandata alle generazioni successive non soltanto attraverso una tradizione orale, ma mettendo in atto regole di vita e consuetudini rimaste immutate per millenni.

LE CITTÀ
Una di queste consuetudini consisteva, per esempio, nell’ abitare in villaggi a contenuta densità democrafica, non oltre le duemila unità. I villaggi erano formati da famiglie che avevano contratto vincoli di parentela attraverso i matrimoni. Il vincolo parentelare rendeva monolitico il rapporto tra i cittadini del villaggio. Ci spieghiamo perciò, grazie a questa consuetudine di vita, il ritrovamento nel territorio adranita di villaggi formati da capanne, vicinissimi tra loro, fatti risalire dagli studiosi al IV, III millennio a. C. I villaggi catalogati dagli archeologi erano sparsi in almeno sette contrade del territorio adranita. Ogni villaggio distava dall’altro non più di due chilometri. Gli agglomerati abitativi, nonostante il basso numero di abitanti che li occupavano, coprivano però una area molto vasta; ciò era possibile in quanto tra una capanna e l’altra esisteva uno spazio franco.
La formulazione del l’ipotesi che ogni villaggio fosse abitato da un numero inferiore ai due mila individui, trae fondamento dal resoconto che Cesare fornisce nella sua guerra gallica a proposito del re Ariovisto.
Avendo portato, come sopra affermato, sufficienti prove negli articoli precedentemente pubblicati circa la consanguineita’ tra i Galli, i Germani, i Sicani, abbiamo applicato a questi ultimi le caratteristiche che Cesare osservò sui Germani. Il romano affermava con attendibilità, ottenendo le sue informazioni dall’Eduo Diviziaco, suo alleato e druida, che il re Ariovisto aveva al suo seguito sette popoli, in tutto centoventimila teste tra uomini donne e bambini, convergenti da cento pagi. Dunque, facendo una media aritmetica se ne deduce che ogni pagus era abitato da circa mille e duecento individui. Le abitudini demografiche osservate da Cesare nei pagi, verranno confermate ancora cinque secoli dopo che il romano assurgesse a divo, allorché Genserico re dei Vandali, popolo proveniente dalla Scandinavia, strappato I territori del nord Africa alla molle civiltà Bizantina, insediando gli ottantamila guerrieri che lo seguivano, ebbe cura di distribuirli nel territorio tunisino secondo le ataviche abitudini della cultura di provenienza: a gruppi di mille. Ad ogni gruppo venne assegnato un territorio misurato con la funicella. Tralasceremo in questa sede di esaminare l’appellativo apposto al re dei germani Teodorico, “THIUTA-REIKS”: padre del popolo, appellativo che lo accomunerebbe, secondo il risultato dei nostri studi, al re di Innessa Teuto, lessema, quest’ultimo, che si trova inserito nella celeberrima epigrafe incisa nella stele di calcare ritrovata in contrada Mendolito, nei pressi di Adrano. Quattrocento anni dopo l’epoca di Genserico e Teodorico, i barbari germanici che assumeranno l’attributo di Vichinghi , colonizzando l’Islanda distribuiranno nel territorio islandese gruppi umani formati ancora una volta, da mille individui.

Cartina di una parte del territorio adranita in cui sono stati rinvenuti i resti dei villaggi neolitici

Dovremmo dedurre, considerando che i Sicani di Adrano, come si evince dai reperti archeologici recuperati, popolavano almeno sette, otto contrade e cioè, Adrano centro, Naviccia, Pulica, Fogliuta, Fontanazza, Burrello, Tabana, che il numero totale degli abitanti dell’ampio territorio adranita fosse di oltre diecimila teste, una popolazione di tutto rispetto per l’epoca.

IL PAGUS.
La struttura del villaggio non ancora fortificato dalla presenza di mura di cinta, costituito da capanne in legno con tetti di paglia distanti l’una dall’altra una decina di metri, dovette conservarsi per un lunghissimo periodo di tempo in Sicilia poiché non vi era motivo di temere attacchi ostili da parte di popoli stranieri, dal momento che i rapporti tra i villaggi erano di buon vicinato, anzi, parentali. Il massimo degli incidenti che avrebbero potuto verificarsi tra i pagi, potevano ridursi a qualche screzio individuale felicemente risolvibile dall’intervento degli anziani (probabilmente a gestire l’ordine pubblico era una casta sacerdotale sul modello druidico dei consanguinei Celti. Per approfondimenti vedi: “Senone di Mene, I druidi in Sicilia – miti3000. eu), garanti dell’ordine costituito. Le mura, poligonali, ciclopiche o megalitiche, che possiamo ancora in parte ammirare ad Adrano, potrebbero essere state edificate intorno ai primi secoli del II millennio a.C. e non per fungere da fortificazione per il villaggio, realizzato con modeste capanne, bensì al fine di creare un recinto sacro che circoscrivesse il tempio carico delle forze mistiche dell’Avo furioso (questo significa il teonimo Adrano, nome composto dall’unione dei lessemi odhr, furioso e Ano antenato, avo). Affinché i nostri lettori abbiano un’idea di quanto affermiamo, avvalendoci delle discipline comparate, citeremo lo storico latino Tacito, il quale così descrive l’analogo modus viventi dei Germani: “Si sa che i popoli dei Germani non abitano nelle città e non sopportano neppure abitazioni contigue: vivono isolati, separati, laddove siano piaciuti loro una sorgente, un campo, un bosco, (…) ognuno circonda la propria casa di uno spazio libero (…) non impiegano neppure pietre da costruzioni né tegole, per qualunque scopo si servono di tronchi grezzi (…) “. Le consuetudini che ponevano i Germani in una perfetta simbiosi con la natura, descritte dallo storico latino, si sarebbero certamente conservate ancora a lungo se il concilio Namnetense del 890 non avesse decretato la distruzione delle immense foreste di querce nelle quali i popoli del nord Europa si recavano per interagire con gli alberi secolari. Fu quello, il disastro ambientale più immane dei boschi d’Europa. Per “intuire” quanto affermato in questo breve articolo intorno alla visione del mondo e il rapporto con esso che avevano i Sicani, si visitino le acropoli dei villaggi siciliani di Cerami, Assoro, Gagliano Castelferrato, Nissoria Nicosia … luoghi che trasudano intatte ancor oggi le mistiche forze primordiali.

SEQUANI E SICANI.
L’affinità tra i due popoli, il primo stanziale in Gallia, il secondo in Sicilia, come vedremo oltre, non è dovuta soltanto all’assonanza del nome che li contraddistingue.

Il divo Giulio si recò in Gallia su invito del giovane druida eduo Doviziaco, minacciato dalle armi dei vicini Sequani. I Sequani, ricorrono a loro volta all’aiuto fornito dai consanguinei Germani di Ariovisto. Cesare giunto sul Reno, prima di penetrate in terra straniera invia in avanscoperta degli esploratori, lo scopo aveva come fine quello di indagare sugli avversari, popolo fino a quel momento a loro sconosciuto. Gli esploratori ritornati dal generale, ancora tremanti sulle ginocchia, raccontarono che si sarebbero ritrovati a incrociare la daga con uomini di mostruosa statura; “basta che vi guardino e siete presi dalla paura” affermavano, e continuando, “nessuno è stato capace di resistere davanti a loro”. Ma Cesare, da vero Romano, non era uomo da lasciarsi impressionare; egli aveva dalla sua la disciplina, l’ordine e la strategia bellica, doti grazie alle quali pieghera’ le ginocchia non solo di quei giganti, ma di tutti i popoli che avranno la ventura di trovarsi nel suo cammino.

Le testimonianze che abbiamo raccolto dal nostro concittadino ingegnere Gulli, riportate nel saggio “Adrano dimora di dei”, e quelle consegnateci dal sig. Pellegriti circa il suo giovanile rinvenimento, ed esposte ne “I racconti del vespro”, raccontano del rinvenimento di scheletri che superavano i due metri di altezza, unendo i dati di tali rinvenimenti ai dati delle ricerche sulle abitudini di vita e alla simbologia adottata dagli abitanti neolitici del territorio adranita, come sopra affermato, aggiungendovi ancora le conclusioni delle ricerche sulla lingua parlata dai Sicani di cui rimangono importanti testimonianze epigrafiche, vengono confortate le tesi secondo le quale i Sicani fossero imparentati con i popoli del nord Europa.
Ad majora.

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