Adranodoro, ovvero la breve influenza adranita nella politica siracusana dal IV al III sec. a.C.

In Sicilia la morte di Gerone
aveva mutato la situazione
per i Romani; il regno di lui, infatti, era
passato a Geronimo suo
nipote adolescente (…) successivamente Adranodoro (…) concentrò il potere di tutti soltanto nelle sue mani”.
T. Livio, Ab Urbe Condita, XXIV, 4

Ancora una volta, siamo certi, Stupirà i lettori il titolo di questo articolo. Vi esortiamo, tuttavia, a seguire la nostra indagine fino alla fine, se non altro per l’autorevolezza che ne deriva dal filosofo tedesco, Nietzsche, il quale affermando che anche un pazzo dice talvolta la verità, invitava il ricercatore ad aprire la mente ad ogni possibilità. Se poi, riflettendo sulle affermazioni dello storico Dionigi di Alicarnasso il quale sosteneva che non era opportuno raccontare ciò che non ritornava a vantaggio del prestigio dei Greci, si traessero le conclusioni che la verità non sempre viene servita in un piatto d’argento, ma va con fatica ricercata tra le pieghe della storia canonizzata, non si cadrebbe in errore. Se il greco Diodoro di Agira, ignorando o evitando di apprezzare il ruolo che ebbero grandi personalità non greche, quali furono Adranodoro, Soside e chissà quanti altri Siculi, nel determinare il destino della storia isolana, fosse da aggiungere a quegli storici rancorosi, accusati da Platone nel Minosse di raccontare i fatti non secondo verità, ma secondo utilità, non lo sapremo mai con certezza. Auspichiamo, dunque, che ognuno di noi sappia trovare da sé gli strumenti che le scienze e la storia mettono a disposizione, affinché riesca a fare chiarezza  tra il crepuscolo dei millenni trascorsi.

Adranodoro: breve affermazione dei siculi a Siracusa.

Adranodoro era il genero del tiranno siracusano Gerone II che meritoriamente si era guadagnato il titolo di re in corso d’opera. Gerone morì nel 215 a.C., dopo cinquant’anni di buon governo grazie al quale era riuscito ad assicurare una grande prosperità sia alla città di Siracusa che  a quelle, pochissime dopo il concordato fatto con i Romani nel 263 a.C., a lui sottoposte. La città di Adrano era fra quelle sottoposte all’influenza politico militare di Siracusa. L’influenza greca esercitata nei confronti della città sacra di Adrano, come la definisce Plutarco nella Vita di Timoleonte, era iniziata già nel 477 a.C. con la politica espansionistica di Gerone I, tiranno di Catania da lui rinominata in Etna, e della quale si dichiarò fondatore. In quella stessa occasione il tiranno si era accontentato di porre una guarnigione siracusana anche sull’acropoli di Etna, prima che questo nome passasse a Catania, e di cambiarle il nome facendole assumere quello primitivo di Innessa (vedi l’articolo Adrano il santuario dell’Avo). Il massimo dell’ingerenza politica e militare siracusana esercitata nei confronti di   Innessa/Etna, lo si raggiunse nel corso del IV sec. a.C. grazie alla temerarietà del tiranno Dionigi il vecchio il quale, emulando il suo predecessore Gerone I, cambia il nome alla città   che soltanto pochi anni prima, durante la riconquista di Ducezio, con la liberazione dal giogo siracusano ottenuta attraverso l’espulsione di Trasibulo, successore e fratello di Gerone I, aveva ripreso il nome di Etna.

Dionigi chiese e ottenne, secondo la ricostruzione da noi effettuata confrontando le diverse fonti storiche, dal senato di Etna, quale oggetto del compromesso stipulato tra le parti, al fine di togliere il pressante assedio posto alla città (400 a.C.) , che Etna ospitasse la solita guarnigione siracusana a controllo dell’acropoli e, inoltre, che  accettasse di essere rinominata col nome di Adrano. Questa seconda proposta, per nulla gravosa, anzi, evocativa di forze ultrafisiche, ritornò ben accetta alla potente casta sacerdotale degli Adraniti. La città sacra di Adrano, essendo la sede del culto nazionale tributato all’Avo primordiale Adrano e custode del tesoro di alcune città sicule, era probabilmente protetta da una anfizionia. Tra le città che aderivano all’anfizionia non potevano mancare, a nostro avviso, le città sicule di Paliké e di Erbita, città che, secondo le nostre ricerche convergenti nelle tesi più volte esposte, erano guidate da principi sacerdoti: da Ducezio la prima; da Arconide la seconda come è riportato da Diodoro di Agira. Le due città sopra nominate, assieme a quella di Adrano formavano verosimilmente una triade a protezione del culto, delle tradizioni ataviche e, dunque, erano organizzate militarmente. La loro alleanza era cementata sulla base del culto atavico in esse celebrato, culto che riproduceva in terra il metafisico concetto di famiglia, riflesso di quella divina: nella città di Adrano si onorava L’avo della stirpe sicana; a Paliche’ i figli del dio Adrano, i Palici e ad Erbita la dea madre Hibla o Etna (?). A diletto del lettore apriamo una breve parentesi: riteniamo probabile che il culto tributato alla dea Hibla, prima che fosse trasferito a Erbita, come presupponiamo, avesse la sua originaria collocazione a Siracusa, successivamente soppiantato da quello della divinità greca Artemide. Si comprenderebbe, se così fosse stato, la presenza a Siracusa di un re il cui nome è strettamente collegato alla dea Hibla, Iblone (re sacerdote della dea Hibla? ). Ma della ricostruzione storica e della fondazione di Siracusa ci siamo occupati nell’articolo i Feaci e la fondazione di Sicher – usa. Pertanto, rinviando al suddetto articolo coloro che volessero approfondire l’argomento, noi ritorniamo ad occuparci dei prodromi che portarono i Siculi di Sicilia e i cittadini di Adrano in particolare, ad influenzare la politica siracusana dopo i fatti svoltisi nel IV sec. a.C.

Timoleonte: la battaglia di Adrano

Nel 344 a.C., Dionigi il giovane, che con la morte del padre aveva ereditato il potentissimo regno di Siracusa, imbevuto di filosofia, non avvezzo a praticare ingiustizie nei confronti del prossimo (Dionigi: un tiranno filosofo. ) cedette, nonostante si trovasse in condizioni militari più avvantaggiate rispetto ai suoi avversari: da un lato Iceta tiranno di Lentini che ambiva a governare pure Siracusa; dall’altro Timoleonte e le città alleate delle quali Adrano faceva parte, il proprio regno al condottiero greco per ritirarsi in esilio in Grecia dove sognava di vivere da filosofo tra filosofi. Dunque, Dionigi, avendo deliberatamente scelto  l’esilio, e nel frattempo essendo stato sconfitto da Timoleonte il tiranno Iceta nella celeberrima battaglia di Adrano dove si consumò il prodigio del dio eponimo, egregiamente raccontato da Plutarco (op. cit.), a Siracusa viene eletta la democrazia. Ci sembra verosimile la deduzione secondo la quale le città che avevano preso parte alla liberazione di Siracusa: Taormina, Tindari ed Adrano, inserissero nei nuovi quadri politici della Polis e nel senato siracusano, a garanzia della tenuta democratica della città, città che era ormai divenuta incubatrice del temuto morbo della tirannide, dei propri senatori.

Se nel formulare la ricostruzione sopra descritta siamo nel giusto, appare plausibile la presenza, citata dallo storico latino T. Livio,  a Siracusa nel 215 a.C., di Adranodoro avente l’incarico di tutore dell’adolescente Geronimo, nipote del defunto re. Il nome Adranodoro significa donato da Adrano (dal greco Ἀδρανός = [dio] Adrano e δῶρον= dono). Costui era il genero di Gerone II e di lui, purtroppo, nel racconto liviano non emerge il ruolo politico o sociale che potesse occupare a Siracusa durante il regno del suocero. Dai fatti  narrati dallo storico latino, emerge però, che Adranodoro era, per dignità, secondo soltanto al re. Il lettore concorderà con noi se ipotizziamo che, grazie al campo semantico abbracciato dal nome, colui che ne era portatore non poteva non affondare le radici del proprio lignaggio in nessun altro luogo se non  nella città del dio Adrano. Un greco, infatti, ancor più se appartenente alla casa regnante, non avrebbe potuto avere un nome barbarico quale era palesemente quello di Adranodoro. Affidandoci all’intuito, formuleremo l’ipotesi, a motivo del nome dell’illustre personaggio, che ad Adranodoro fosse stata affidata la carica di pontefice massimo della divinità sicula che si trovava a Siracusa e che ancora al tempo di Cicerone (Processo a Verre, IV, 128) veniva onorata con l’appellativo di Urio (l’antico, dal germanico ur). Soffermandosi sulla descrizione ciceroniana del culto riservato ad Urio, se davvero Adranodoro ne era il pontefice, non stupirà se la dignitas dell’amato da Adrano fosse seconda soltanto a quella del re. Ci si ricorderà, infatti, che Timoleonte, appena 140 anni prima la presenza di Adranodoro a Siracusa, trasferendosi da Adrano a Siracusa, aveva edificato in quest’ultima un tempio al dio sicano che lo aveva salvato dalla lama dei sicari nel tempio adranita, durante il sacrificio in onore del dio. Ma la presenza di Adranodoro nella reggia del re Gerone II, testimonia ancora altro: elementi aristocratici autoctoni o comunque non Greci – Adranodoro era, verosimilmente, uno dei numerosi principi sacerdoti Siculi al pari dei suoi predecessori quali erano Ducezio e Arconide, per citare soltanto i più famosi – erano riusciti ad inserirsi nei gangli del potere e avevano condiviso con gli elementi greci le politiche della Polis più potente dell’isola. Infatti, come lascia intendere T. Livio, Adranodoro alla morte del novantenne re, Insignito della carica di tutore dell’adolescente tiranno, sarà di fatto colui  che governerà la potente città greca in luogo del quindicenne Geronimo, nipote di Gerone II. A questo punto della tesi elaborata sembra ovvia la deduzione secondo la quale se Adranodoro poté aspirare al ruolo di tiranno dopo il breve regno di Geronimo, vittima di una congiura, ciò dovette essere stato possibile soltanto grazie ad un vasto consenso ottenuto tra i ranghi degli aristocratici siracusani. Tant’è che il nostro, dopo l’assassinio del giovane tiranno, nei giorni immediatamente successivi, viene democraticamente eletto dal consiglio cittadino, tra i primi, pretore. Del resto, appare ovvio che dopo il colpo di stato perpetrato dal profugo di Corinto Archia, ai danni del pio principe siculo Iblone che lo aveva accolto da ospite quattro secoli prima I fatti qui narrati, nel 734 a.C., come abbiamo ricostruito e descritto nell’articolo sopra citato, la componente sicula pre-greca, quella successivamente appellata dei gamoroi e dei killiroi ( I Cilliri del Simeto) non fosse scomparsa nel nulla, ma fosse rimasta a fare da opposizione politica a Siracusa. I Siculi che continuarono ad abitare a Siracusa, relegati al ruolo di oppositori politici, che da sempre e in ogni modo, avevano osteggiato la tirannide al punto da riuscire a porre sotto assedio nel 405 a.C., nella sua stessa reggia, Dionigi, che in quel frangente preso da sgomento, si sarebbe perfino suicidato se il suo amico Filisto, poi diventato storico di corte, non lo avesse convinto a desistere, non abbandonarono mai la lotta per il ripristino della democrazia. Emerge dal racconto di Diodoro che, quando i Siculi di Siracusa cadevano in disgrazia militarmente o/e politicamente, essi trovavano sempre riparo nella città di Etna, pronta ad accoglierli, motivo per cui, non solo il legame tra la città di Etna e Siracusa era fortemente saldo, ma Etna (l’antica Innessa e la futura Adrano) aveva rappresentato una spina nel fianco per tutti i tiranni siracusani. Teodoto e Soside, nel racconto liviano appaiono, in quel lontano 215 a.C., quali congiurati del tirannicidio e portatori della democrazia a Siracusa. Ma, ahimè, la stirpe dei tiranni è dura a morire e a Damareta, figlia del re Gerone II e moglie di Adranodoro, mal si addiceva un ruolo che non fosse quello di regina. Mal consigliando il marito, l’aspirante regina lo indusse a indossare gli ancora insanguinati panni del nipote tiranno. “Adranodoro non disprezzò nel loro insieme i consigli della moglie” afferma Livio nel lib. XXIV, 22. Ma ciò gli fu fatale. Assassinato anche Adranodoro e con lui tutti i componenti della casa regnante, abbiamo buoni motivi per credere che  Soside sia stato di etnia sicula e facente parte della stirpe di quell’altro Soside che nel 405 a.C. era tra coloro che assediavano Dionigi I nella sua reggia, e che, abbandonati dalla fortuna furono costretti a riparare in Asia e combattere come mercenari per Ciro (Senofonte, Anabasi). Soside, il contemporaneo di Adranodoro, scelse di aprire le porte della città di Siracusa ai romani (T. Livio ab Urbe Condita lib. XXVI) piuttosto che riconsegnare la Polis alla tirannide greca. Soside era certamente uno degli eredi di quegli aristocratici gamoroi, antichi oppositori di Archia mai rassegnati alla tirannide, a cui riuscì con la politica ciò che al suo antenato non era riuscito con la forza. Infatti, Livio sostiene nel libro XXV, 24, che dei Siracusani (Siculi?) militavano tra le file dei Romani e Soside precedeva Marcello trionfante, durante la celebrazione del trionfo a Roma.

Adrano: una breve egemonia.

Che giovani rampolli Adraniti si fossero inseriti nell’alta società siracusana non deve stupire considerato il prestigio che la città ebbe durante l’arco di molti secoli, se non millenni. Adrano, grazie alla presenza del santuario dedicato all’Avo, era oggetto di pellegrinaggio (Plutarco op. cit.), fonte di grandi ricchezze che indussero il temerario Falaride di Agrigento, come affermato da Polieno  negli stratagemmi, a tentare una sortita nel tempio per impossessarsi dei forzieri. Il periodo Timoleonteo, in virtù della partecipazione importante, per non dire decisiva, di cittadini adraniti nella lotta di liberazione dell’isola dalle tirannidi, rappresentò una crescita economica che non ebbe pari nella storia della città sacra di Adrano. Tale crescita viene ben messa in evidenza dai ponderosi studi condotti dal dottor Sebastiano Barresi. Lo studioso si è occupato della produzione adranita di ceramica figurata siceliota. L’accademico avrebbe persino individuato una scuola di ceramisti Adraniti. Il mercato di questa ceramica, oltre che coprire quello della Sicilia orientale, si estendeva, secondo la tesi dello studioso, fin nelle isole Eolie (S. Barresi, Tra Etna e Simeto).

Vorremmo concludere questa breve ricerca con l’auspicio espresso dallo stesso Barresi: “Adrano, con il suo territorio, la sua storia ed il suo museo, nonostante le difficoltà poste alla ricerca dalla odierna realtà urbanistica e sociale del paese, per la sua ricca e complessa documentazione può rappresentare un campo di studio privilegiato in cui sperimentare metodi di analisi d’insieme e forme di indagine integrate”.

Ad majora.

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