Sulle tracce dell’antico anfiteatro

ALESA

Teatro Romano di Petra, Giordania

Nel corso degli scavi archeologici condotti ad Alesa, è stato ritrovato un teatro romano. Alesa era una città la cui fondazione potrebbe definirsi di ultima generazione. Infatti essa viene fondata nel 403 a. C. dal principe Arconide. Il principe, che non intendeva piegarsi al tiranno Dionigi il vecchio, preferì l’esilio al compromesso. Arconide abbandonò la propria città, Erbita, non condividendo l’atteggiamento morbido che il Senato cittadino manifestava nei confronti del tiranno siracusano. Da quello che emerge, attraverso la lettura della ‘Biblioteca Historica’ di Diodoro siculo, il Senato era disposto a scendere a patti col tiranno e, come si deduce dagli studi da noi condotti, (www.miti3000.eu – Gli dei Palici e le sacre sponde del SimetoAlesa: da Vercingetorige ad Arconide) le ripercussioni che quegli accordi ebbero nei confronti della tradizione sicula furono dure; perciò, appare giustificata la reazione del principe-sacerdote Arconide, custode e difensore delle ataviche tradizioni. La fondazione di una nuova patria, in un territorio siculo, al sicuro dalle mire espansionistiche del tiranno greco, come custodita in uno scrigno, nell’ottica del principe siculo avrebbe consentito di salvaguardare la religione e le tradizioni dei padri.

Ma torniamo sul tema che ha stimolato la nostra ricerca. È da tempo che ipotizziamo l’esistenza di un teatro greco ad Adrano e, forse, anche la presenza di un altro teatro, molto più grande, costruito dai romani dopo la loro conquista dell’isola, quando la città, tra il 214-211 a. C., passò sotto il controllo delle legioni e, secondo i canoni dell’edilizia romana, si espanse a dismisura, duplicando sia il territorio costruito che la densità della popolazione civile di Adrano, grazie anche all’ingresso di schiavi per il fabbisogno agricolo.  Questa ipotesi sarebbe motivata da più di una riflessione che ci piace condividere con i lettori: la città di Adrano è antichissima, essendo la sede del dio venerato nell’intera isola; essa fu prestigiosa oltre misura e ricchissima al punto da stimolare gli appetiti predatori del tiranno di Agrigento, Falaride. Questi, intorno alla metà del VI sec. a. C., come racconta lo stratega Polieno nel suo trattato “Stratagemmi” , ricorrendo, appunto, ad uno stratagemma, riesce a rubare dall’erario della città gli ingenti tesori. In una città così prestigiosa quale era Adrano (rinominata Adrano dopo i precedenti nomi di Innessa e successivamente di Etna. Questi due ultimi passaggi sono attestati da Diodoro siculo. La tesi della rinominazione in Adrano è frutto delle nostre ricerche e di una logica ricostruzione, esposte nel saggio “Adrano dimora di dei” ediz. SIMPLE) non poteva mancare un luogo di cultura quale era considerato il teatro greco. Al lettore basti constatare che, anche la più piccola fra le città siciliane, non ne era priva. Non potrebbe essere diversamente per la popolosa e prestigiosa Adrano se, come appurato, un teatro vi era ad Alesa che, come affermato, sia per antichità che per prestigio non superava, di certo, Adrano. Si evince, tra le righe di quanto ci ha fatto pervenire Cicerone (Il processo di Verre – lib. III, 61/63 ediz. Bur) , che la città, sede dell’Avo, Adrano, era fornita di terme che, come appurato dalle ricerche dello scrivente, si estendevano su un ettaro di superficie. I Romani, come si evince dai ritrovamenti archeologici, ampliarono oltre misura il territorio abitato di Adrano. L’imponenza dei bagni è stata immortalata dagli acquerelli del noto pittore francese J. Houel e confermata, come detto, dalle nostre ricerche condotte in loco; un teatro greco e/o romano non poteva essere assente laddove si registrava una importante presenza demografica nella quale si inserivano prestigiosi elementi dell’aristocrazia romana quale era quella a cui apparteneva il cavaliere romano Lollio, citato da Cicerone nelle verrine. Cicerone, nel raccontare le ‘gesta‘ del tirapiedi di Verre, Apronio, presentava una Adrano (che l’avvocato citava con l’antico e prestigioso nome di Etna, non ignoto ai giudici che presiedevano al processo, si era sempre distinta per le sue lotte contro i tiranni, ai quali viene paragonato Verre) non priva di strutture ricettive: taverne, musicanti, palestre (vedi l’articolo ‘il turismo ad Adrano da Cicerone ai giorni nostri) frequentate da Apronio durante il suo soggiorno nella nostra prestigiosa città, sede del primo ed unico santuario dedicato all’avo della stirpe siciliana, venerato dai Siculi dell’isola fin dalla prima ora. La frequenza giornaliera da parte della moltitudine di pellegrini – motivo che ci ha indotti a coniare per la città di Adrano l’attributo di Vaticano della Sicilia- che si recavano nella città di Innessa, rinominata, come affermato, Etna (Diodoro– Biblioteca Storica- libro XI, 72, 3) ed infine Adrano, città dove sorgeva il favoloso santuario dell’Avo primordiale Adrano, dovette, per forza di cose, attrezzarsi di strutture alberghiere onde ospitare i numerosissimi pellegrini che giungevano da tutta la Sicilia (Plutarco – vita di Timoleonte-). Apronio, due secoli e mezzo dopo i fatti narrati da Plutarco, nel 71 a. C., può, nonostante le due disastrose guerre condotte dagli Adraniti contro i Romani (quella del 263 a.C. e quella del 214 a.C. con le quali la città subì gravi danni) usufruire di tutte le strutture turistico ricettive del luogo. La disastrosa guerra del 214 a.C. aveva perfino comportato la chiusura al pubblico culto del tempio di Adrano, tempio che, tra l’altro, rappresentava, grazie alle elargizioni dei devoti della divinità, una enorme fonte di ricchezza. Ai preziosi donativi elargiti al santuario dai pellegrini, andavano aggiunti, quali ulteriori strumenti di ricchezza, i ricavati della vendita delle immagini sacre ed ogni forma di commercio praticato, per non parlare della fiorente agricoltura locale (Strabone). Crediamo che l’enorme quantità di monete ritrovate negli anni settanta vicino al luogo ove sorgeva il tempio, durante gli scavi in una abitazione civile, disperse fra le tasche delle decine di manovali che lavoravano nel luogo, testimonino a carico della ricostruzione storica da noi azzardata. Quel sito, a nostro avviso, faceva parte dell’enorme area commerciale sorta nei pressi del tempio. Forse, il luogo ove furono ritrovate le oltre mille e cinquecento monete di bronzo e argento, (valutazione fatta alcuni giorni dopo il ritrovamento, dagli stessi operai) era la bottega di un cambiavalute, uno di quelli che esercitavano quella professione presso i maggiori templi del Mediterraneo, uno di quelli a cui Gesù, nel tempio di Gerusalemme fece saltare il banchetto, irritato da quel tipo di commercio indegno, e pur necessario.

IL TURISMO AL TEMPO DEI ROMANI

Ma la città di Adrano possedeva moltissime risorse, il turismo religioso non rappresentava l’unica fonte di guadagno per gli enormi introiti cittadini, e dopo l’ordinanza romana della chiusura del tempio al pubblico culto, gli Adraniti misero in campo nuove risorse. Strabone infatti, aggiunge un ulteriore tassello al grande mosaico da noi ricostruito attraverso la descrizione di Cicerone e quella di Plutarco. Strabone afferma che da Adrano (anche da lui chiamata con il nome di Etna; probabilmente il geografo aveva attinto dagli appunti dell’avvocato romano; infatti, essendo amico dei figli e, dunque, frequentatore della casa di Cicerone, poteva avere accesso agli appunti di quest’ultimo appena reduce dell’avventura siciliana) partivano i turisti che si recavano sul vulcano, attratti dai fenomeni che, ancor oggi affascinano i turisti moderni provenienti da tutto il mondo. Adrano, o Etna, come la chiama il geografo, era infatti ubicata alle pendici del vulcano, anzi, come afferma lo stesso Strabone, faceva parte del vulcano ed era la sede di residenza delle guide. Il territorio adranita, che geograficamente e orograficamente coincide con la descrizione che fa Strabone di Etna, la quale ancora al tempo di Cicerone doveva conservare suggestive componenti paesaggistiche – in parte da noi ricostruite attraverso un grandioso plastico esposto in una mostra permanente, ubicato nella sala ottocentesca del Circolo Democratico, nella centralissima piazza San Pietro-, con la presenza di fiumi, cascate, fitti boschi, colonnati lavici.

DOVE CERCARE IL TEATRO?

Ma dove andare a cercare il teatro? Chi conosce il nostro territorio sa, che nessun altro luogo offre una sommatoria di elementi che farebbero preferire il luogo della rocca a qualsiasi altro luogo. Le antiche mura ciclopiche iniziano dalla rocca Giambruno, nei pressi dell’attuale cimitero, che, descrivendo un poligono, chiudono l’antica città ad ovest, fino al belvedere di via della Regione, dove tutt’oggi, vi è l’ultima torre sopravvissuta delle antiche mura. Il luogo dove immaginiamo possa essere ubicato il teatro domina l’intera valle del Simeto, ed è, pertanto, strategicamente idoneo. La posizione strategica del luogo avrebbe permesso, durante lo spettacolo offerto ai cittadini, di poter, nello stesso tempo che godevano della visione della tragedia, controllare il passo da cui, tradizionalmente, giungevano i nemici: la valle del Simeto (vedi l’arrivo degli Ateniesi nel 414 a. C., durante la guerra del Peloponneso o quello del tiranno Iceta nel 344 a. C.). Inoltre il luogo offriva un paesaggio naturale che forniva la scenografia ideale al teatro stesso. La particolare attenzione nella scelta: strategica e scenografica, si conferma se si osservano i siti in cui sono ubicati tutti i teatri costruiti in Sicilia, da quello di Taormina a quello di Segesta, di Tindari, Eloro, Halaesa etc. Tutti sono caratterizzati dalla visione di paesaggi mozzafiato.

ALLA RICERCA

Sulla base di questi ragionamenti percorremmo il margine della rocca, all’interno delle mura ciclopiche che circoscrivevano l’antica città, e fummo colpiti dalla particolare conformazione al margine della rocca. Ivi scorreva una piccola cascata, residuo di una antica e assai più copiosa; accanto ad essa notammo pietre enormi e squadrate, delle quali affiorava soltanto la loro parte superficiale, sembravano opportunamente lavorate, ma il sito non permetteva di essere indagato oltre, poiché il cactus opunthia dominava sovrano; verificammo semplicemente che, mentre al di qua e al di là di questo luogo la rocca aveva le sue pareti scoscese, perpendicolari ed invalicabili, proprio in questo luogo il terreno digradava, come se, grazie ad una pendenza, nel tempo, trascinato dalle piogge, fosse scivolato in basso dalla rocca riducendone l’altezza e la originaria perpendicolarità. La roccia di duro basalto, appariva in questo luogo, come modellata, tale da farci venire il sospetto che la sua parte più bassa potesse prestarsi ad essere la cavea. La scala dei Bianchi, una delle strade di accesso alla antica città sicula che dalla Rocca, cioè dalla acropoli portava alla valle (all’inizio di essa si notano gli stipiti dell’antica porta realizzati con pietre poligonali della stessa fattura delle mura ciclopiche) correva tutt’intorno al sito del presupposto teatro, fino a valle. Lungo il margine sinistro della scala abbiamo ritrovato fonti d’acqua incanalata attraverso opere nelle quali ci è sembrato fosse stata utilizzata la pozzolana: il collante idraulico tipico delle costruzioni romane. Verosimilmente, la faticosissima salita, denominata in tempi recenti scala bianca o dei Bianchi, contemplava una serie di piazzette di ristoro durante il percorso.

Probabile fonte di ristoro ai margini della scala dei Bianchi.

Abbiamo ritrovato il teatro? Non ne siamo certi; di certo vi è, che noi perseveremo nella ricerca di quel luogo ove Eschilo dovette rappresentare ‘Le Etnee’, certi che la dea Fortuna, commossa dall’amore patrio da noi manifestato, ci condurrà per mano fin dove potremo udire, non con umane orecchie, il coro che evoca, tutt’oggi, Etna, il nome della amata figliuola di Teuto, unica figlia del principe, alla quale il padre donò la città perché la governasse dopo di lui. Da lei, la città di Innessa, prese il nuovo nome di Etna e successivamente quello dell’Avo Adrano.

Ad majora.

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