Adrano: il dio che i romani temevano.

Con la morte di Gerone II tiranno di Siracusa, avvenuta nel 216 a. C. alla veneranda età di novant’anni, cessa il lungo periodo di pace fra le città sicule. Pace garantita, fino ad allora, dalla lungimirante politica del tiranno a cui viene successivamente attribuito, per meriti acquisiti sul campo, il nuovo titolo di re. Gerone, dopo un breve braccio di ferro, aveva stipulato un’alleanza con i Romani arrivati nell’isola nel 263 a. C. invitati dai Mamertini di Messina. Con quella alleanza si erano stabiliti fra il Senato romano e Gerone, reciproci rapporti di fedeltà e lealtà. La morte di Gerone, arrivò poco dopo la peggiore sconfitta che i Romani avessero subito ad opera dei Cartaginesi: quella di Canne. Appena un anno prima di Canne, nel 217 a. C., le legioni erano state decimate prima nel Ticino e subito dopo al Trasimeno.

Gelone

Adesso, l’incauto erede di Gelone, Geronimo, non raccogliendo le accalorate raccomandazioni a lui indirizzate sul letto di morte dal nonno, cioè di mantenere la pace con i Romani, stipula una innaturale alleanza con quel popolo che tutti i suoi antenati avevano sempre e fortemente combattuto: i Punici. Il nuovo fronte siciliano si dimostrava oltremodo difficoltoso per i Romani, infatti come afferma lo storico romano T. Livio (XXIV, 35), tutta la Sicilia era passata dalla parte dei Punici. I Romani, avendo una certa dimestichezza con le cose sacre, attribuirono la inarrestabile potenza delle armi sicule, alla protezione che offriva loro la divinità sicula chiamata Adrano. I Decemviri avevano ben compreso, che l’Avo sicano rappresentava l’equivalente dell’Avo latino e con questo condivideva una caratteristica in particolare che metteremo in evidenza più avanti. L’unica differenza nel nome che designava le due divinità, consisteva nell’ aggettivo che, anteposto al sostantivo, indicava le rispettive caratteristiche: furioso (Odhr) quella dell’Avo siciliano, sensitivo, percettivo, rapido (Jah) quella dell’Avo latino. Ma entrambi, attraverso l’utilizzo del sostantivo Ano (Avo) indicavano il comune antenato primordiale. Quanto affermiamo, trova riscontro nel momento in cui i Romani, venuti a contatto con il mondo greco, compresero che nella primordiale divinità greca Ur-Ano, si celava la corrispettiva divinità latina Jah-Ano. Effettuata la dovuta comparazione, i Romani non ebbero difficoltà ad accettare e far propria la teogonia greca.

Messina – Fontana di Poseidone. Giov. Ang. Montorsoli

In Sicilia, gli studiosi di cose sacre romane, i Decemviri, osservarono che il dio siculo Adrano, tra le altre, aveva una caratteristica particolare che lo accomunava al Dio latino Giano e che era proprio quella a rendere invincibili i nemici: il furore del Dio, si materializzava sui campi di battaglia ogni qualvolta venivano aperte le porte del suo tempio. Ciò, come era riportato negli annali dell’isola, raccolti da Plutarco per essere utilizzati nella sua opera che ricostruiva la vita e le imprese di Timoleonte, era avvenuto, con successo, nel 344 a. C., epoca in cui, il furore del Dio si risolse con la cacciata di tutti i tiranni greci dall’isola. Ma i Romani, sapevano trovare la soluzione per ogni problema. Nel 398 a. C., infatti, avevano risolto un caso simile: avevano “convinto”, attraverso un rito di “evocazio“, con lusinghe, la dea Giunone ad abbandonare la protezione accordata agli abitanti di Veio. Il caso siciliano, prevedeva un diverso accorgimento: preso coscienza della incorruttibilita’ dell’Avo sicano, i Romani intendevano mettere in atto uno stratagemma, quello di erigere una muraglia tutt’ attorno al tempio della divinità sicula Adrano ( Diodoro siculo XXIV, 38).

Giano bifronte, da Vulci. II sec. a.C. Roma, Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia.

La muraglia, quale ostacolo frapposto, avrebbe dovuto impedire al furore del dio di propagarsi per l’isola e scendere, egli stesso in campo, al fianco dei Siculi. Per mettere in atto lo stratagemma, era necessario conquistare, prima fra tutte le altre, la città che ospitava il tempio e la statua dell’Avo divino: la città di Adrano. Marcello concentra tre legioni sotto le ciclopiche mura che cingevano la città naturalmente fortificata con le sue alte rocche. La città dell’Avo, però, non resistette a lungo alla più potente macchina bellica dell’antichità. Penetrati nella città sacra, i Romani mettono in atto lo stratagemma, forse sarebbe più esatto definirlo rito, impedendo altresì ai sacerdoti Adraniti, a partire da quel momento, di esercitare pubblicamente il culto dell’Avo, i sacerdoti avrebbero, però, potuto continuare ad esercitare il ministero privatamente. Superstizione, magia, rito?

Tucidide

Per dirla con Tucidide, ognuno si faccia una propria opinione, di fatto accade che, poco dopo la presa di Adrano, tutte le città sicule alleate, si arrendono ai Romani e la stessa Siracusa cade, anche se a causa del tradimento di un cittadino della polis, di nome Soside, assieme al suo più temibile difensore, lo scienziato Archimede. É l’anno 211 a. C., potremmo prendere questa data, come punto di riferimento per immaginare l’inizio della decadenza del culto plurimillenario tributato all’Avo Adrano. Infatti, Diodoro che mette per iscritto le sue storie circa un secolo e mezzo dopo i fatti appena esposti, mostra tutta la sua ignoranza riguardo al tempio del Dio Adrano e al culto in esso celebrato. Eliano, che nel II secolo della nostra era, scrive un trattato sui comportamenti degli animali, nel citare la divinità e la città che ospitava il culto, si rifà a Ninfodoro, vissuto intorno al III sec a. C. Da Eliano, interessato soltanto a studiare il comportamento dei cani, in numero di mille, che facevano da guardia al tempio dell’Avo, non si ricavano informazioni utili sulle caratteristiche del culto esercitato, né alcuna descrizione dell’architettura templare o della statua dell’avo divino. É altresì probabile, che non avendo mai messo piede in Sicilia, né tanto meno in Adrano, Eliano non sapesse, se il tempio di Adrano esistesse ancora nel momento in cui, egli metteva per iscritto i risultati delle sue indagini.

DOVE È FINITA LA STATUA DELL’ AVO ADRANO?
Della statua che nel 344 a. C. si sarebbe animata per scendere in battaglia, al fianco dei propri adoratori, non si ha più notizia. Nel 71 a. C., essa non si trovava neppure nel santuario di Adrano, poiché, in caso contrario, non si sarebbe salvata dalle grinfie del famigerato Verre, il qule dal 73 al 71 a. C., anni che lo videro pretore nell’isola, non ebbe riguardo né per i mortali, né per gli immortali. Nessuna opera d’arte, o perché essa, si trovasse fra private pareti domestiche o fra quelle sacre di un tempio, ebbe scampo alla sua ingordigia. È possibile che la statua, non si trovasse più ad Adrano dall’anno dell’assedio, avvenuto ad opera del console Marcello tra il 212 e il 211 a. C. Gli Adraniti, infatti, in quella occasione, maturarono la certezza che le legioni sarebbero riuscite ad abbattere le poderose mura ciclopiche e messo a ferro e fuoco la città dopo aver espoliato il tempio dei suoi ori, e, forse, distrutto la statua. Nel tentativo di scongiurare una tale profanazione, trasferirono la statua, con al seguito i sacerdoti addetti al culto, nella più sicura Siracusa, nell’isolotto della inespugnabile Ortigia. In effetti, come attestato dagli eventi successivi, Siracusa soccomberà soltanto a causa, come già affermato, del tradimento di un cittadino siracusano e non per l’assedio in corso. Nel tentativo di ricostruire quegli eventi, ci viene in soccorso Cicerone, il quale ci mette a conoscenza della presenza a Siracusa, della statua di una divinità, quella sì, predata dal pretore, raffigurante una divinità in atteggiamento guerriero, tanto che l’avvocato la definisce Giove imperatore, titolo che a Roma era inesistente per indicare Giove, in quanto nell’urbe non esisteva nessuna statua così definita, ma il termine utilizzato dall’avvocato, serve a rendere plastica l’immagine di una statua in atteggiamento da guerriero, non solo, ma la statua avrebbe, certamente, brandito una lancia, in quanto, nel campo semantico indoeuropeo, la lancia indicava, per antonomasia, il simbolo dell’ imperio.

Cicerone. Musei Capitolini

La divinità descritta da Cicerone, era fortemente venerata dai siculi, egli la chiama col generico nome di Urio. Per comprendere il significato del termine Urio, dobbiamo fare ricorso alla lingua sicana, che noi, in altri studi, abbiamo dimostrato essere stata una delle lingue indoeuropeo, affine a quelle che, ancora oggi, si parlano nel nord Europa. In antico alto tedesco ur significa antico, primordiale. Dunque, l’ aggettivo ur utilizzato dai siculi che abitavano a Siracusa, stava ad indicare la divinità sicula per eccellenza, l’antico per antonomasia, equiparabile al greco Ur-Ano. Ma quale divinità, in Sicilia, per i Siculi, poteva essere più antica di quella dell’Avo primordiale Adrano? Cicerone, nel corso del processo intentato a Verre, ricorda ai giudici che presiedono al processo, che Verre aveva strappato ai Siciliani, la statua più antica, tra le tre esistenti nelle regioni del Mediterraneo: la Macedonia, il Ponto Eusino e la Sicilia. Ma poiché in Sicilia il culto più antico era quello tributato ad Adrano, ecco che quella statua non poteva che rappresentare l’Avo dei Sicani. Un particolare non indifferente, passato inosservato fin ora, potrebbe rappresentare un’ulteriore tassello per aver chiara la visione dell’intero puzzle: nel 211 a. C. appare tra gli aristocratici imparentati con la casa regnante di Siracusa, un certo Adranodoro. Questi è il cognato del tiranno Geronimo. Alla morte di Geronimo, Adranodoro ne prende il posto. Il prediletto del dio Adrano, questo è il significato del nome Adranodoro, potrebbe essere stato, in realtà, un sacerdote venuto al seguito della statua dell’Avo, trasportata da Adrano a Siracusa, perché il rito celebrato in onore all’Avo, non venisse interrotto. La dignità di pontefice massimo, avrebbe introdotto Adranodoro a corte, e qui, il pontefice avrebbe trovato moglie nella persona della sorella dell’erede al trono, Geronimo. Adranodoro, a corte, dopo la morte di Geronimo, nella sua “elezione” a nuovo tiranno, avrebbe certamente trovato appoggio nella componente autoctona dei Killiroi, che, dopo il colpo di stato effettuato dall’esule greco Archia, accolto amichevolmente da Iblone oltre cinque secoli prima, era rimasta all’opposizione politica, formando il partito dei democratici, partito che sempre si oppose ai tiranni di Siracusa. Anche la definizione di Giove Etneo, fornita da Diodoro siculo, per indicare la divinità sicula che i Romani avrebbero confinata dietro la muraglia, come già esposto in precedenza, rimanda ad un campo semantico del primo livello nel pantheon siciliano.

Plutarco

Anche la definizione fornita da Cicerone, per descrivere la statua della divinità sicula, Giove Imperatore, come affermato sopra, rimanda alla descrizione che fa Plutarco della statua di Adrano, armato, a propria volta, di lancia, la quale, ribadiamolo, nel simbolismo indoeuropeo, rappresentava lo strumento bellico che sancita il possesso del l’imperio. Poiché l’avido pretore, trasferiva a Roma il frutto delle sue ruberie, e rivendeva le statue agli aristocratici, per ornare le proprie ville, non sarebbe da escludere la possibilità, che la prestigiosa statua dell’Avo sicano, sia ancora seppellita in una di quelle prestigiose ville romane. Guidi, il dio, la mano del vangatore, perché egli scelga di tornare, con ciò che lo rappresenta, alla propria dimora, dove è fortemente atteso.

Ad majora.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *