Rinominazione della città Adernò in Adrano

Epigrafe fascista

” Nessuno pensi di piegarci senza aver prima duramente combattuto”.

Non tema il nostro lettore, non si fermi alle apparenze; questo articolo non è stato concepito per esaltare una ideologia o un periodo storico infausto per certi aspetti, ma come tutti gli altri articoli usciti dalla nostra penna e pubblicati in diversi siti web, nei quali si prendeva lo spunto da singoli episodi, dall’esempio della vita di singoli uomini, da frasi, da eventi particolari per approfondire la ricerca nel tentativo di svelare la storia celata da una spessa coltre apposta dalla polvere dei secoli trascorsi, anche in questo articolo si intende seguire lo stesso metodo, al fine di cristallizzare l’insigne ruolo che la nostra amata città, sede primordiale del culto sicano, occupò nella storia isolana.
Allo scopo si presta, dunque, l’epigrafe sopra riportata, parzialmente picconata da chi avrebbe voluto cancellare, assieme al contenuto della scritta, il succitato periodo storico che, come tutti gli eventi della vita, non può, a nostro modo di vedere, essere portatore soltanto di aspetti negativi. Convinti di quanto sopra asserito, metteremo in evidenza il lato positivo che direttamente riguarda la nostra città e i cittadini che la abitano, quale aspetto invisibile che rappresenta l’altra faccia della medaglia. Infatti, per dirla con il poeta: “Per umana conformazione gli uomini sono portati a vedere solo ciò che appare loro evidente. A pochi è dato vedere oltre le apparenze”. L’aspetto fausto cui facciamo riferimento, si nasconde tra le righe della felice proposta espressa, durante lo svolgersi di una seduta in un consiglio comunale riunitosi nel 1929, dall’allora consigliere comunale professor Luigi Perdicaro. L’illustre concittadino, animato da ardore patrio, illuminato da una scintilla divina, cogliendo un vento favorevole che spirava nella direzione del recupero della nobile storia italica e del ripristino di antiche tradizioni, proponeva per la nostra città, che in quel momento si chiamava Adernò, fra le altre cose,che potesse riprendere l’antico toponimo di Adrano, nome andato perduto a causa di uno storpiamento di pronuncia di esso da parte dei popoli stranieri sopraggiunti a dominare l’isola; e non dunque per una ben precisa volontà del despota di turno, cosa che, secondo la nostra ricostruzione storica apparsa, oltre che nel saggio “Adrano dimora di Dei”, in diversi siti web, potrebbe essersi verosimilmente verificata in seguito ad un compromesso avvenuto tra le istituzioni della città di Etna e Dionigi il vecchio. Il tiranno, infatti, vedeva nella nostra città, che allora si chiamava Etna, una spina nel fianco poiché Etna, città anti-tirannica per istituzione, come riportato da Diodoro nella sua Biblioteca storica aveva fornito supporto militare agli oppositori politici del tiranno che lo assediavano nella sua reggia siracusana. Dopo l’insuccesso del tentativo di deporlo, la futura Adrano aveva offerto ospitalità ai transfughi siracusani democratici suoi oppositori. Il tiranno, assediando la città di Etna nel tentativo di abbatterla e porre fine alla opposizione politica democratica, non riuscendo in questo intento, riesce però a strappare un compromesso (insistiamo sull’ipotesi del compromesso in quanto, mai e poi mai un greco avrebbe apposto spontaneamente un toponimo barbarico ad una città che si considerava greca) al senato cittadino di Etna. Ottenuto in parte quanto richiesto, il tiranno con il cambiamento di nome da Etna in Adrano e lo stanziamento di un contingente di militari siracusani nell’acropoli, si illudeva di cancellare la nobile storia della città di Etna. Invece, Dionigi, accettando la proposta delle istituzioni Etnee, rinominandola col nome del dio eponimo Adrano, commise un doppio errore: evocò il dio primordiale che fungeva da collante per i Siculi così come Jahvè funse da cemento fra gli Ebrei della diaspora, e inconsapevolmente fece affiorare forze che soltanto trentasei anni dopo i fatti narrati, si sarebbero scagliate come un boomerang contro la sua stessa stirpe, decretando la cacciata dallo scranno siracusano del suo erede Dionigi il giovane.

ADERNÒ
Come sopra affermato, il toponimo Adernò si affermò in seguito ad un difetto di pronuncia del nome Adrano da parte delle decine di popoli stranieri che si succedettero al governo dell’isola. Il nome Adernò indicava comunque il luogo abitato dall’Avo sicano e, come trapela dalla penna dello storico arabo Idrisi, incaricato di scrivere una storia della Sicilia, in pieno medioevo Adernò continuava ad essere una cittadina di rilievo al punto da essere scelta, quale propria residenza ponendo la sua dimora nel castello costruito dall’avo, dalla contessa Adelicia nipote del gran conte normanno Ruggero d’Altavilla.

Castello normanno di Adrano, in piazza Umberto I, oggi sede del museo regionale “S. Franco”

Il toponimo Adernò rimase ad indicare la città dell’Avo sicano per un millennio circa, l’equivalente di un anno per gli Dei se vogliamo dare credito a quanto affermato nel testo sacro degli Indù, il libro dei Veda, periodo in cui il dio Adrano, ma sarebbe più corretto definirlo, seguendo l’etimologia dell’appellativo che lo caratterizza, Avo, andò in letargo. Lo risvegliò, pronunciando per la prima volta il suo nome dopo mille anni, il divino intuito dell’illuminato Luigi Perdicaro, concittadino non abbastanza ricordato dalle generazioni successive, forse perché ebbe la ventura di nascere nel secolo sbagliato o militare dalla parte politica perdente.
Tuttavia, noi che intendiamo pronunciare il nome dell’Avo con la stessa potenza evocativa con cui lo pronunciò il Perdicaro, dirigendo la nostra attenzione alle proposte del nostro concittadino di cui andiamo fieri, piuttosto che guardare al colore della camicia che indossava, non possiamo non celebrarlo per le sue patriottiche posizioni. Pertanto, per quanto concerne l’epigrafe con cui abbiamo aperto la nostra disquisizione, che per ironia del destino, seppur monca sopravvive ancor oggi a ricordare quale monito, di che pasta son fatti gli Adraniti, non possiamo non affermare con decisione che quanto affermato in essa, seppur diretto alla stirpe italica, si adatta perfettamente alle posizioni che assumono i tenaci cittadini Adraniti nei confronti delle avversioni. Infatti, essi in mille occasioni dimostrarono il loro valore, in pochi casi documentato. Uno di quegli episodi documentati è rappresentato, – atteso che si accetti la nostra tesi, secondo la quale Innessa, Etna, Adrano, Adernò siano nomi che indicano la stessa città in diversi periodi storici- dalla battaglia passata alla storia come la battaglia di Himera, di cui ci viene narrato da Diodoro di Agira, nella quale gli Etnei, futuri Adraniti, con il loro contributo cambiarono le sorti della stessa e nel 480 a. C. contribuirono a cacciare i Cartaginesi dall’isola. Altra occasione, mai abbastanza ricordata e osservata dalla giusta direzione, è quella inerente la cacciata dei tiranni greci dalla Sicilia sotto la guida del condottiero Timoleonte. A partire dal “ladrone” romano Verre, il fenomeno del banditismo siciliano è un aspetto che lascia intravedere, per quanto erroneamente applicato, la tenacia, l’orgoglio, lo spirito di giustizia che l’adranita applica tenendo conto del proprio giudizio maturato fra i meandri della propria coscienza, incurante a volte delle istituzioni da cui non si sentì mai rappresentato in quanto messe in piedi da popoli stranieri che negli ultimi duemila anni si sono avvicendati al comando dell’isola con una celerità incredibile. Anche nell’infausto caso, la città di Adrano, ma sarebbe meglio affermare, alcuni cittadini di essa, così come avvenne durante la symmachia prima citata formatasi per scacciare i tiranni greci nel 344 a. C., assurse ad esempio e divenne la città più attenzionata dalla repressione governativa, sia per il numero che per il carisma dei componenti che avevano dato vita al banditismo adranita: un battaglione di militari, oltre alle forze dell’ordine locali, furono inviati in un quartiere della città di Adrano per la cattura di un singolo uomo, Vincenzo Stimoli. Il fenomeno del banditismo, esploso tra il caos dell’ultimo colpo di coda della seconda guerra mondiale, nel marzo del ’44, quando perfino re, generali, dirigenti fuggivano eroicamente, è stato da noi ampiamente esaminato nel saggio “Adrano dimora di Dei” (a questo saggio rinviamo chi volesse approfondire l’argomento). Qui ci preme affermare che nessun periodo storico è stato solo bianco o nero e che il carattere degli Adraniti che emerge in ogni periodo che li vede coinvolti, rimane immutato ad ogni riapparire di crisi sociali: esso rimane monolitico nonostante la differente composizione che lo costituisce e le differenti posizioni assunte dai cittadini. Luigi Perdicaro fu concittadino di questa tempra, degno erede dell’Avo sicano e non ebbe timore di opporsi al regime fascista lui stesso fascista, per difendere i colori della patria adranita. Infatti, a lui siamo debitori se nello stendardo della città di Adrano viene ancora rappresentata quell’aquila simbolo di dominio delle altezze a

Stemma del comune di Adrano

cui solo i grandi aspirano, e che il romano governo voleva sopprimere perché solo dominasse il cielo e la terra italica. Ma come l’aquila fu cara a Giove, altrettanto, sapeva il preside del liceo classico adranita, fucina di menti, Luigi Perdicaro, che la sicana divinità adranita, Odhr-Ano, rappresentava il corrispettivo sicano romano di Jah-Ano e non ebbe difficoltà a convincere il governo romano che nella capitale italica come nella sede sicana adranita, le due aquile avrebbero concorso a meglio vegliare, sorvolando entrambe sull’italico cielo e sull’Italica stirpe. Approvata dunque dal consiglio cittadino la proposta del recupero del teonimo-toponimo, il nostro concittadino faceva imprimere il nome Adrano sul bianco calcare e faceva apporre la targa celebrativa sulla prestigiosa facciata del palazzo dei Bianchi.

COMPAGNIA DEI NOBILI BIANCHI

Nulla è lasciato al caso, o se volete, per dirla col noto scrittore, il mondo cospira. Infatti, il palazzo dei nobili Bianchi che divenne la sede della casa comune cittadina, prima era stata una privata dimora patrizia, abitata dalla famiglia Ventimiglia e successivamente dai Moncada. Essa venne riadattata per ospitare la suddetta compagnia la quale, come prevedeva anche lo statuto dettato da San Bernardo di Chiaravalle ai templari e previsto pure negli altri ordini monastico cavallereschi, non ultimo l’ordine dei Teutoni stabilitosi in Polonia dopo il fallimento in Terra santa ove si intendeva liberare il santo sepolcro dalla dominazione araba, non avrebbero potuto accedervi coloro che non avessero potuto vantare nobili natali. Numerosi furono gli interventi della compagnia dei nobili Bianchi sul terreno della solidarietà umana: soccorrere gli indigenti, i fratelli più sfortunati che abitavano la città del dio che fu padre di tutti, Adrano. Dopo la sede di Palermo, fondata nel 1541, viene costituita nel 1568 quella della città etnea. Al fine di rendere edotti i nostri concittadini, onde rincuorarli circa il valore creativo dei nostri Avi e del ruolo centrale che ebbero nell’isola, sappiano che il nostro teatro Bellini fu costruito prima di quello di Catania che lo riprodusse in scala più grande. Perfino la compagnia ritenne opportuno fondare la sua sede prima ad Adrano piuttosto che a Catania. Le nostre ricerche, ancora in essere, ci inducono ad azzardare la tesi secondo la quale la Compagnia dei Nobili Bianchi possa essere sorta da una costola del disciolto ordine dei templari. Lo scioglimento dell’ordine venne ufficialmente messo in atto, dopo anni di persecuzioni, dal re di Francia nel 1312. L’ordine monastico cavalleresco dei templari del resto, prima che Filippo il bello li espellesse dalla Francia rendendoli invisi, a motivo di false accuse mosse contro di loro, in molti paesi dell’Europa (in Italia le prime sedi dei templari ad essere chiuse furono quelle di Brindisi e Chieti), non potevano essere assenti in una importantissima città quale era quella di Adrano. Taceremo in questa sede, per esigenza di sintesi, sui molteplici aspetti in cui la città sacra, come la definisce Plutarco nella “Vita di Timoleonte”, cara all’Avo, primeggiava; abbiamo accennato alla costruzione del piccolo ma magnifico teatro Bellini, riteniamo che la città di Adrano, senz’altro importante lo fosse dal punto di vista religioso, simbolico ed esoterico,

Simboli incisi su arenaria. Fiume Simeto presso l’ara dei Palici

(per verificare queste asserzioni leggansi gli articoli apparsi su miti3000.eu: La musica degli dei e simbologia è ascesi nell’ Adrano arcaica) discipline di cui i templari erano grandi estimatori. La città di Adrano, si rende necessario ricordarlo, era la sede del culto primordiale dell’Avo sicano Adrano, culto la cui origine si perde nella notte dei tempi, motivo per cui si può affermare che ogni sapere d’ordine metafisico vide la luce ad Adrano, tra le solide colonne del santuario dedicato alla divinità eponima, prima che altrove. Il culto al dio sicano veniva tributato dalla colta casta sacerdotale appellata Adraniti, ovvero coloro che evocano il furore dell’Avo (Odhr-Ano-Iti). Non sappiamo fino a quando il culto del dio sicano continuasse ad essere praticato nel tempio dell’Avo Adrano dopo che i Romani ne decretarono nel 211 a.C. la chiusura al pubblico e prima che la nuova religione si imponesse. Crediamo che, comunque, nonostante il culto cristiano, in seguito all’editto di Tessalonica del 380 d.C. si imponesse e in qualche modo, si sovrapponesse a quelli pagani, non senza prima aver messo in atto quella magistrale operazione di sincretismo operata dai primi padri della Chiesa Cristiana, la casta sacerdotale degli Adraniti, per via carsica dovette continuare a tramandare i propri riti, la simbologia e le proprie conoscenze scientifiche ancora per qualche secolo. Le conoscenze scientifiche della casta sacerdotale degli Adraniti non dovevano essere inferiori, (consigliamo la lettura dell’articolo: La geometria sacra nella costruzione delle città sicane – miti3000.eu) se non abbiamo fallito nella interpretazione della simbologia sicana giunta fino a noi attraverso i reperti archeologici ritrovati, da quella posseduta dai consanguinei druidi del nord Europa, né da quella posseduta da Sumeri, da Egizi e Veda. Alla luce di quanto affermato fin qui, ci è sospetta la tempestività con cui vengono fondate in Italia la compagnia dei Bianchi dopo la chiusura delle sedi templari. Infatti, la prima sede attestata, dei Bianchi, viene fondata a Firenze nel 1375 e da lì, percorrendo l’Italia da nord a sud, approda, come affermato, a Palermo. In tutta Europa, dopo la messa al bando ufficiale dei monaci guerrieri, vi fu un tentativo di rimodulare la posizione dei templari che dalle loro sedi originarie, definibili a rischio, migravano in luoghi più sicuri, fuori dall’orbita di influenza del potere esercitato dal re di Francia e dal papa che lo assecondava. Si ha notizia, pertanto, che molti dei componenti dell’ordine dei templari ripiegarono in Scozia, altri confluirono nell’ordine degli ospedalieri di S. Giovanni; in Portogallo, invece, i templari fondarono un nuovo ordine, l’ordine di Cristo, con l’obiettivo apparente di combattere i Mori, mentre in Spagna i templari si riconvertirono nell’ordine di Montesa. Alla luce dei molteplici esempi di trasformazione dell’ordine templare sopra riportati, giunge ancora sospetto che tra la compagnia dei Bianchi e i templari si scorgano importanti analogie: l’abbigliamento adottato dagli uni e degli altri era formato da un saio di lino bianco. Aggiungasi all’abito indossato la coincidente ritualità svolta da entrambi gli ordini. Infatti, i Bianchi come i templari erano legati al santo Giovanni il battista; questo santo, coevo di Gesù, vissuto in Palestina ove i templari fondarono il loro ordine ottenendo come propria sede le rovine del tempio di Salomone, veniva a sua volta collegato al pagano rito del solstizio d’inverno. Che un rito del solstizio venisse praticato anche in Sicilia ab illo tempore lo conferma la presenza di numerosissime rocce forate che si fanno risalire al neolitico se non al paleolitico,

Pietra perciata di Nicosia

equivalenti dei Dolmen, di Stonehenge, delle fortezze di Trelleborg ecc. del nord Europa. Nel vastissimo territorio di pertinenza alla città di Adrano, che in tempi antichissimi si estendeva, con molta probabilità, a nord fino a Bronte, ad est fino a S. M. di Licodia, a sud oltre il fiume Simeto, essendo assente la morbida roccia di arenaria ove praticare il foro, presente invece nelle decine di siti siciliani che ospitano i suddetti “santuari preistorici”, supponiamo che la roccia forata venisse sostituita con la costruzione di un tempio vero e proprio realizzato con la messa in opera del duro basalto lavorato

Colonne e capitelli con bassorilievi di simboli solari. Area di rinvenimento Mendolito, Adrano

in blocchi squadrati e di cui le colonne con i rispettivi capitelli decorati con motivi solari, esposti al museo di Adrano, ne siano i resti. Avanziamo l’ipotesi, vista la natura esoterica della religiosità sicana, che un tempio solare in Adrano, venisse costruito per le medesime finalità per le quali furono concepiti quelli sopra citati: fare convergere in un punto ben preciso, nell’alba del ventuno Dicembre e nell’equinozio di primavera, i raggi del sole, simbolo di rinascita e di fecondazione.

LA SCALA DEI BIANCHI

Ad Adrano esiste una scala, ma sarebbe più opportuno definirla strada o salita, che noi opiniamo sia stata intitolata ai titolari della confraternita poiché è detta, la scala dei Bianchi, che per semplificazione viene denominata semplicemente scala bianca, nonostante di bianco non vi sia assolutamente nulla essendo stata ricavata scalpellando il nero basato della Rocca lavica sulla quale si inerpica. La scala in questione è la continuazione di una delle due arterie che formavano le principali vie di comunicazione dell’antico sito di Adrano e che dividevano la città in quattro settori. Oggi la scala bianca è impraticabile nonostante due anni orsono la liberammo, con la collaborazione di un gruppo di volontari, dai rovi che l’avevano invasa. La strada a cui ci si riferiva sopra che costituiva una delle due arterie che divideva la città in quattro settori, realizzata in basolato lavico, era larga sette metri. L’arteria che venne alla luce durante alcuni saggi di scavo e poi ricoperta, doveva essere la continuazione della scala dei Bianchi. Questa, vincendo il forte dislivello della Rocca Giambruno, rocca che costituì il naturale bastione di difesa del centro siculo sicano dalla quale un tempo precipitavano suggestive

Ricostruzione attraverso un plastico delle cascate

cascate d’acqua, attraversa l’area sacra di sud est ove insiste tutt’oggi, posta su un piccolo colle lavico frantumato, un’ara neolitica, si dirige, costeggiando il fiume Simeto, nella direzione di Lentini. Con la fantasia (o con l’intuito), componente lecita per il ricercatore se dichiarata e necessaria per la ricostruzione di fatti svoltisi distanti nel tempo, ci piace immaginare che i Bianchi, e prima di loro i templari, percorressero questa sicula strada per recarsi in quella suggestiva area sacra in cui pullulavano percepibili forze naturali, forze ancora percepibili (da noi richiamate attraverso la scientifica ricostruzione in scala di un plastico che riproduce parte del territorio adranita, così come doveva presentarsi quattromila anni fa in tutta la sua suggestiva bellezza)

Fotografia storica delle cascate

per coloro il cui spirito non si è mai sopito, ed ivi celebrarvi il rito del Natale Solis e/o quello dell’equinozio di primavera. Gli ignari coloni che con estatica visione, dai loro ubertosi campi li osservavano incamminarsi in ieratica fila incappucciati, e ne udivano i canti all’alba, ognuno recante una candela accesa in mano, dovettero rimanere assai impressionati dallo scenario che si offriva ai loro occhi; da lì, la denominazione di scala dei Bianchi. Non sarebbe peregrina la formulazione della tesi secondo cui in Adrano, siano perdurate per via carsica le conoscenze esoteriche della casta sacerdotale denominata degli Adraniti, considerando che nella città dell’Avo Adrano, ancora nel XIX secolo erano presenti ben sette logge massoniche; ma sull’argomento che riguarda questa discussa associazione di studi esoterici, la massoneria, preferiamo cedere il passo al ricercatore Alessandro Montalto che ha condotto interessanti ricerche in merito, e rinviare quanti volessero approfondire l’argomento ai suoi lavori.

Ci preme fare rilevare al lettore, che ad Adrano non era assente neppure il prestigioso ordine dei cavalieri di Malta.

Croce dell’Ordine dei Cavalieri di Malta presso la chiesa di S. Francesco

Rimane ancora a testimoniare la loro presenza, la cui sede si trovava presso la chiesa di S. Francesco che in periodo arabo fu adattata in moschea, una croce scolpita sul nero basalto. Ci chiediamo: perché tutti gli ordini di prestigio, dai templari ai massoni, scelsero il sacro suolo dell’Avo per insediare le loro associazioni? Ed ancora: le antiche forze di attrazione emanate dal suolo in cui fu edificato il tempio di tutti i Siciliani, si sono esaurite?

Ad majora.

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