Il vallo di Ducezio

Il titolo di questo articolo, con riferimento ad un ipotetico vallo edificato da Ducezio per arrestare l’avanzata dei Greci nell’entroterra siculo dell’isola di Sicilia, analogamente a quello ben più noto di Adriano, voluto dall’imperatore romano per arrestare il passaggio del popolo degli Scoti nell’impero, prende spunto dal ritrovamento delle poderose fondamenta di un muro edificato in illo tempore, presso il paesino etneo di Maletto in territorio di Bronte. Naturalmente non è, e non può essere provato neanche dalla nostra ricostruzione dei fatti storici del periodo, che la edificazione del muro sia stata realmente voluta dal duce siculo  Ducezio, tuttavia la presenza del muro in questione ci fornisce la ghiotta occasione per tentare la ricostruzione di un periodo storico, quello del V sec. a.C. momento in cui la penetrazione greca nell’entroterra etneo raggiunse la massima virulenza. Nella targa esposta presso il muro, per volontà della Sovrintendenza ai Beni Culturali, si lascia sospesa ogni possibile interpretazione del motivo per il quale quel muro fosse stato eretto e il periodo storico (o preistorico) in cui venne eretto. Ma a noi, ricercatori indipendenti, è concesso, liberi da schemi accademici, se ben suffragate da prove letterarie, azzardare tesi sottoponendole direttamente al vaglio dei fedeli lettori, graditi destinatari a cui, fiduciosi, ne affidiamo l’analisi.

Se noi abbiamo richiamato il nome del duce siculo per dare risalto a questa incompresa opera di fortificazione, è perché egli, a nostro modo di vedere, nel suo doppio ruolo di sacerdote e capo militare (vedi l’articolo: “Gli Dei Palici e le sacre sponde del Simeto”), oppositore della politica espansionistica greca, viene direttamente chiamato in causa quale valente costruttore di fortezze, dallo storico Diodoro siculo. Il motivo che spinse il nostro principe all’intervento militare per arrestare l’avanzata greca nel cuore del centro religioso dell’isola, va ricercato nella constatazione che i Greci spingendosi oltre la semplice conquista territoriale, miravano a cancellare la storia, le ataviche tradizioni e la religione sicule, ma su ciò, per quanti volessero approfondire quei riferimenti di metastoria cui spesso facciamo riferimento, rimandiamo al succitato articolo. L’edificazione di muri di sbarramento quale tecnica di difesa bellica, raggiunse in Sicilia una efficacia ancora maggiore di quella affidata all’uso delle armi stesse, e il nostro duce, come afferma lo storico di Agira nella sua Biblioteca Storica, dimostrò di essere un grande stratega fortificando, durante il ventennio che lo vide protagonista e in ascesa nella riconquista dei territori erosi dai Greci ai Siculi, numerosi villaggi siculi spingendolo a fondare più di una città. La necessità di erigere un muro mastodontico, funzionale a sbarrare la via al nemico, produceva, tra l’altro, una devastante ricaduta psicologica sull’umore degli eserciti nemici.  Si pensi, quale parametro di comparazione e di misura della fatica occorrente a superare la costruzione di un muro, seppur eretto in fretta e furia, a quello costruito dagli Achei a protezione del loro accampamento, e all’immane fatica che costò ai Troiani il tentativo di superarlo, senza tra l’altro riuscirvi. Il racconto Omerico fatto nell’Iliade è prezioso in quanto descrive i particolari e i metodi di costruzione del muro acheo. La fretta con la quale venivano costruite le fortificazioni murarie durante la fase dei combattimenti, rappresenta un prezioso parametro di confronto per comprendere la funzione e l’approssimazione delle opere militari di questo genere. Tucidide, per esempio, soffermandosi sulla celerità con cui venne costruito il muro di Atene, ne riconosce la carenza delle più elementari tecniche costruttive che ne compromettevano, oltre che l’estetica, la migliore stabilità.

Se del muro di Maletto rimangono solo labili tracce, il motivo va ricercato, a nostro giudizio, nello scopo per il quale esso fu eretto. Infatti esso andrebbe comparato alle barricate innalzate nel XIX secolo per le vie di Milano contro gli Austriaci invasori, alle trincee scavate sul Piave durante la prima guerra mondiale per arrestare l’avanzata austriaca e al muro acheo descritto da Omero di cui si è detto. Pertanto del muro di Maletto, come per le barricate anti austriache e i numerosi muri su cui Tucidide ampiamente si sofferma nella descrizione della guerra del Peloponneso che si propagò fino in Sicilia, innalzati da tutte le parti in causa: Siracusani, Cartaginesi, Siculi, cessata l’emergenza non se ne curò più nessuno, essi vennero, come detto, o abbattuti dagli stessi abitanti di quei luoghi subito dopo finita l’emergenza per ripristinare le vie d’accesso o li si affidarono all’incuria del tempo.

DATAZIONE E MOTIVAZIONE DELL’EREZIONE DEL MURO

Proveremo ora, dopo aver formulato una ipotesi sul motivo per cui venne innalzato il muro di Maletto, a comprendere il contesto storico e il periodo cronologico durante il quale il vallo possa essere stato realizzato. Dall’esamina parziale del muro abbiamo potuto dedurre che si possa trattare di mura erette come vallo o ostacolo per fermare o rallentare l’avanzata dei Greci verso il territorio siculo, che si estendeva da quel punto fino alla costa tirrenica della Sicilia. Non passi inosservato il fatto che il muro oggi intersechi la strada statale 120 che, partendo da Adrano e costeggiando il fiume Simeto, attraversando la catena montuosa dei Nebrodi conduce alla costa tirrenica. Infatti riteniamo che la detta arteria sia la stessa che nel periodo storico da noi esaminato, mettesse in comunicazione i Siculi abitatori delle pendici dell’Etna con quelli della costa tirrenica. La stradale 120 rappresenta ancor oggi una importante via di comunicazione, una scorciatoia per gli abitanti dei paesi etnei che si trovano a sud e a occidente del vulcano che intendono raggiungere il litorale tirrenico. Questo percorso è infatti certamente preferibile a quello molto più lungo, anche se più agevole, di quello rappresentato dalla via costiera ionica. È verosimile che il muro sia stato posto in essere tra il 475 a. C., quando l’inviso ”tiranno” siracusano Jerone, fratello del ben amato “re”  Gelone, ereditato il regno di Siracusa, pensò bene di accrescere il suo territorio a discapito di quello di Siculi, e il 414 a. C., quando la guerra del Peloponneso, combattuta in Grecia fra Greci, si espanse fino a raggiungere i confini della nostra isola. Nel primo caso (il 475 a.C.) è possibile che Jerone, dopo aver conquistato Catania e aver ottenuto dal senato cittadino di Innessa\Etna (futura Adrano, vedasi argomento dell’incontro tenuto nel Circolo Democratico di Adrano il 5-3-2017) il consenso di insediare simbolicamente una guarnigione siracusana nella città sicula, abbia indotto i Siculi che abitavano il territorio a monte di Innessa\Etna a spostare il vallo tutt’oggi visibile nella contrada del Mendolito, reso inefficace dalla guarnigione siracusana di stanza nella futura Adrano, più a monte, nel territorio dell’odierna Maletto. L’altra data, quella del 414 a. C. è perfettamente compatibile con il racconto che fa Tucidide nella Guerra del Peloponneso circa l’arte e la funzione della costruzione delle mura in corso di una guerra, come mezzo di ostacolo decisivo al risultato bellico. Afferma, infatti Tucidide: “Gli Ateniesi ripartirono per Nasso e, fatti fossati e palizzate attorno al campo vi svernarono (…) anche i Siracusani costruirono un muro attorno alla città (…) lo tracciarono lungo tutta quella parte che guarda le Epipole, perché, in caso di sconfitta, non li si potesse facilmente assediare a poca distanza dalla città” -libro VI,75-. Il contenuto di questo passo potrebbe adattarsi anche al nostro muro, costruito nei pressi di Maletto a sbarrare l’accesso al territorio siculo che veniva, tuttavia, continuamente eroso dai Greci.  Lo sbarramento creato dai Siculi proprio in questo punto strategico risulta funzionale per una imboscata da tendere al nemico. Infatti, con la costruzione dell’imponente muro l’esercito nemico sarebbe rimasto facilmente imbottigliato in uno spazio di terreno e, se vogliamo attuare una storica comparazione, si sarebbe trovato nelle medesime condizioni dell’esercito Romano nel Sannio presso Caudio ove subì la storica umiliazione del giogo. Osservando l’orografia del luogo dell’edificazione del vallo si può osservare facilmente come l’esercito nemico che avesse avanzato verso l’interno dell’isola, dovendosi arrestare a causa del muro nello ampio spazio lasciato artatamente libero, avrebbe avuto impedita la fuga presso le retrovie poiché l’angusto passo alle loro spalle poteva venire facilmente sbarrato da un esiguo numero di militi siculi. Nel formulare questa ipotesi Tucidide sembra venirci ancora in soccorso. Così lo storico greco in VI,32\33: “Nicia manda messi a quei Siculi che controllavano i passaggi ed erano suoi alleati, i Centoripini, gli Alicei e altri, perché non lasciassero passare i nemici e impedissero di aprirsi il cammino (…) i Sicelioti tesero un agguato in tre punti (…) I Siracusani, dopo la disfatta subita nel paese dei Siculi, si trattennero dall’assalire subito gli Ateniesi”. Risulta assai agevole individuare perfino i tre punti non meglio precisati da Tucidide. Il primo potrebbe riferirsi a quello che si trovava tra Centuripe e Innessa (Adrano) fra le quali vi è la via che conduce nel paesino di Troina e poi da lì ancora più all’interno fino alla costa tirrenica; il secondo punto potrebbe corrispondere al passo di Maletto che stiamo esaminando, mentre il terzo potrebbe riferirsi a quello allora controllato dagli alleati Catanesi da cui si aveva accesso alla costa ionica. Per paese dei Siculi, come lo definisce Tucidide, di conseguenza, dovrebbe intendersi quella fascia dell’entroterra chiusa all’interno di questi tre passi e saldamente mantenuta dalle armi sicule. Attraverso la seguente ricostruzione storica da noi azzardata, emerge l’ipotesi che Il vallo di Maletto potrebbe essere stato eretto dopo la caduta di quello precedentemente posto nel territorio di Innessa\Adrano nell’attuale contrada Mendolito. Il poderoso vallo di Innessa di cui rimane ancora visibile un lungo tratto, potrebbe essere stato rinforzato dal duce siculo con le due torri erette a protezione della porta principale, così si giustifica altresì la presenza della famosa stele in lingua sicula presso questa porta. Il vallo di Innessa\Adrano, dopo la disfatta dei siculi guidati da Ducezio, avvenuta nel 444 a.C. potrebbe, dunque, essere stato spostato più a monte, nel villaggio di Maletto, oggi territorio di Bronte. Ritornando sull’affermazione di Tucidide circa il paese dei Siculi, riteniamo che egli intendesse riferirsi alla parte orientale della Sicilia appena descritta, poiché lo si evince dal contenuto del libro VI,62 in cui lo storico afferma che l’esercito ateniese dopo aver messo piede nella costa tirrenica, nei pressi di Himera: “unica città greca della costa (…) con la fanteria retrocedevano attraverso i territori dei Siculi finchè giunsero a Catania”. Dunque l’esercito sbarcato ad Himera potè procedere tranquillamente fino a Catania in quanto tutti i paesetti all’interno di questo territorio (il triangolo Himera-Messina-Catania) erano siculi ed erano loro alleati. Inoltre, riteniamo che questo territorio, a motivo della sua complessità orografica rappresentata principalmente dalla catena montuosa dei Nebrodi, non fosse stato mai sottoposto ad una vera pressione militare Greca, -ciò emerge anche in VI,86 ove si afferma: “ i villaggi dei Siculi che abitavano l’interno e che erano stati sempre autonomi fin da prima, subito, tranne alcuni, furono con gli Ateniesi”- al punto che Ducezio, dopo la definitiva disfatta militare del 444 a. C. che lo vide svernare a Corinto[1] per alcuni anni in un esilio dorato imposto dai Siracusani, nel suo ritorno in Sicilia, sbarcando sulla costa tirrenica, vi può tranquillamente fondare una città: kalè Aktè, l’attuale Caronia, vivere indisturbato e morirvi solo per il sopraggiungere di una malattia.

C’è un ulteriore passo nel lib. VI, 98 che serve a farci comprendere il motivo della velocità della messa in opera e funzione per cui questi muri venivano eretti e recita così: “Gli Ateniesi si mossero per Sice, dove si accamparono e rapidamente costruirono un muro circolare (…) costruirono il muro circolare portando pietre e legname (…) partendo dal porto grande fino all’altro mare (…) i Siracusani elevarono un muro trasversale la dove gli Ateniesi avrebbero dovuto condurre il loro muro e, se fossero stati più veloci, chiuderli fuori”. Il muro di Maletto ha un circuito circolare che sembra strategicamente eretto per essere funzionale ad imbottigliare un esercito nemico al suo interno. Infatti,  inizia da un monte a sud del paese e finisce nella rocca sotto la quale scorre il fiume Simeto. Che il muro possa essere stato eretto per funzioni militari lo si evince dalla qualità edilizia dello stesso. Infatti, oltre a seguire l’andamento orografico del terreno, sfruttando avvallamenti ed elevazioni naturali al fine di risparmiare tempo e manodopera, il muro non ha caratteristiche né estetiche né di solidità stabile, caratteristiche indispensabili per la costruzioni dei muri di cinta che proteggevano le città (vedi mura di Adrano, Siracusa, Argo, Micene, Arpinio ecc.). Tuttavia non si creda che tali muri non adempissero egregiamente al ruolo per il quale erano stati concepiti. Infatti in VII,3 Tucidide afferma che i Siracusani si erano schierati “davanti alle mura degli Ateniesi”, mura che erano state solidamente erette a protezione del proprio accampamento. Nel nostro caso va notato che in prossimità del vallo vi era solo il piccolo villaggio di Maletto abitato da qualche migliaio di cittadini, e poi una enorme, desertica distesa lavica che avrebbe dovuto ospitare le tende dei militari siculi che arrivavano in piccoli contingenti dai piccolissimi centri abitati dei dintorni. Si evince pertanto che, se il muro dovesse soltanto servire a difendere il piccolo villaggio, le sue dimensioni e il dispendio di energie occorse per costruirlo sarebbero state sproporzionate per lo scopo che si riproponeva se sostenute soltanto dalle poche centinaia di uomini abili al lavoro che abitavano il villaggio di Maletto. Sarebbe stato più conveniente, in caso di imminente pericolo, -come fece il Gallo Vercingetorige, incendiando le città che sarebbero facilmente cadute, nella sua tattica antiromana e i Russi in quella antinazista; questi ultimi preferirono incendiare l’importante città di Stalingrado piuttosto che farla cadere nelle mani dei tedeschi-, sacrificare al nemico il piccolo villaggio e ripiegare verso l’interno.  Invece il muro, come detto, aveva lo scopo di fungere da linea di demarcazione e di difesa non del singolo villaggio di Maletto, ma dell’intero territorio siculo rimasto, affinchè in esso potessero raccogliersi e organizzarsi i piccoli contingenti di eserciti provenienti dai piccolissimi villaggi siculi che oggi, come allora, popolavano l’entroterra e le selvatiche selve dei Nebrodi.

LE FAVARE O ACQUE SACRE

Lungo la parte meridionale esterna del muro di cui abbiamo detto sopra, è possibile assistere, durante i mesi primaverili, all’apparizione di un ruscello abbastanza ampio e suggestivo con la creazione di piccoli laghetti e cascate avendo come sfondo l’imponenza del vulcano Etna ancora imbiancato da quelle nevi che sciogliendosi hanno dato vita alle su dette “acque sacre”. Queste acque che ora si dividono in rivoli, ora si riuniscono in laghetti, vennero denominate sacre, come si evince dall’utilizzo del prefisso sacro Ve che va a comporre il nome Favare. Ve, in lingua germanica viene pronunciato fe. L’altro lessema che forma il nome composto è vara il quale, in quasi tutte le lingue indoeuropee, dal sanscrito al protogermanico, significa acqua. Proprio la caratteristica di queste acque, quella di apparire durante la primavera e sparire durante l’estate, gli ha fatto guadagnare l’aggettivo di sacre in quanto, per analogia riconduce al concetto di nascita e morte, nonché a quello di ciclicità che, ritualmente, si ripete ogni anno ad ogni stagione. Il loro apparire e sparire li collega al mito di Innanna fra i Sumeri; Proserpina fra i Greci; i Dioscuri nella mitologia greco romana; gli dèi Palici fra i Siculo/Sicani. Si osservi che questa coppia di gemelli venerati presso il Simeto, cantati da Virgilio nell’Eneide, erano denominati Delli che significa i nascosti in lingua tedesca. Il loro culto si svolgeva in un luogo dove scorrevano e continuano a scorrere dopo millenni, due fonti denominate di acqua chiara e di acqua scura, esse vengono dette acque delle Favare cioè acque sacre proprio come quelle di Maletto (ma ve ne sono molte altre in diversi luoghi della Sicilia) perchè esse stesse sono una trasposizione delle divinità. Nel caso delle favare di Maletto, il ruscello, come le dee sopra citate le quali trascorrevano sei mesi dell’anno negli inferi e sei nell’Olimpo, cioè metà anno nella oscurità e metà anno nella luce, rappresentano la metafora dell’eterno avvicendamento di morte e rinascita della natura. Infatti, come affermato sopra esso si forma in primavera grazie al primo scioglimento delle nevi dell’Etna e sparisce in estate quando le nevi, in virtù della cocente calura del sole siciliano si scioglieranno del tutto.

LA TOPONOMASTICA

Villaggio di Maletto con acropoli dominante la valle ove insiste il valloAnche la toponomastica del territorio  di Bronte e Maletto come quella esistente nel territorio di Adrano di cui ci siamo occupati in articoli precedenti, riconduce ad una derivazione nord europea, lingua che abbiamo ritenuto parlassero i nostri avi Sicani e Siculi e di cui ci siamo serviti per una ipotesi di interpretazione delle epigrafi comunemente definite sicule, le più importanti ritrovate tra i territori Adrano e Centuripe (vedi l’articolo: (“Jam akaram: la lingua dei Sicani” ). Nebrodi è il nome dato alla catena montuosa la cui flora è caratterizzata dalla presenza di grandi distese di boschi di Pini e Querce, del tutto simili ai boschi che caratterizzano l’area geografica del nord Europa. Si può notare l’affinità del nome dei monti siciliani con quello di Nebra, cittadina della Germania in cui fu rinvenuto il famoso disco di bronzo che porta il suo nome. Il disco di Nebra, è stato datato dagli esperti e fatto risalire all’età del bronzo. Su di esso sembra sia stata riprodotta la costellazione delle Pleiadi oltre che il sole e la luna.

Piana Cuntarati, è il nome di una contrada che si trova tra Bronte e Maletto. Il nome della contrada entra curiosamente in relazione con un nome di persona ancora attuale e molto frequente presso i Tedeschi e gli Svedesi, quello di Gunter. Il toponimo Cuntarati sembra essere formato dall’accostamento dei lessemi Kuh vacca e tarn celato, nascosto. La libera traduzione che farebbe intendere che ci si trovi in un luogo di raduno di “vaccari”, appare verosimile se si tiene conto che quella del mandriano è una attività ancora importante e praticata nel territorio preso in esame. Nel dialetto brontese cuntari significa raccontare, contare, enumerare ma anche misurare. Dunque potrebbe essere stato, il nostro, un luogo ove le mandrie provenienti da luoghi vicini, venivano riunite, “contate”, controllate. Non va trascurato il linguaggio metaforico di cui amavano servirsi i nostri avi (di conseguenza il bue potrebbe racchiudere il significato di guerriero, militare. In questa accezione lo utilizza, per esempio Zarathustra nel suo elogio al principe quando gli augura di avere molte vacche nelle sue stalle),  continuato attraverso i poeti e le loro poesie. Pertanto pur volendo considerare la possibilità che il significato del toponimo rientri nella accezione di enumerare, il riferimento potrebbe comunque andare alla mandria e al concetto di moltitudine, di gruppo. Infatti in semitico il numero 1.000 viene espresso con la parola bue. Nella antica scrittura ideografica utilizzata da diversi popoli si prendeva quale simbolo per esprimere il concetto di moltitudine la figura del salmone. Infatti in India, luogo in cui non si sarebbe dovuto conoscere questo pesce che vive solo nelle acque dei fiumi che sfociano nel Mar del Nord e nel Mar Baltico, con la parola sanscrita Laksa, nome con il quale viene chiamato in Germania il salmone (Lachs), viene espresso il numero 100.000. Il salmone, spostandosi in branchi fornisce, infatti, l’idea della moltitudine da cui origina il numero centomila.

Maletto è un piccolo centro arroccato sulle falde dell’Etna. Come testimoniano i reperti archeologici ivi rinvenuti, esso è stato abitato fin dal VI millennio a. C. Secondo la tradizione il toponimo è stato acquisito dal nome del duca Maletta il quale, del villaggio ne fece la propria residenza edificandovi il castello di cui ne rimangono le rovine. L’edificio, a sua volta, venne costruito sulle rovine di una precedente struttura non meglio identificata. Non è difficile dedurre che, secondo le abitudini sicane per ciò che concerne la fondazione delle loro città, la rupe che domina la valle, e su cui insistono i ruderi del castello, corrispondeva all’acropoli che, certamente, ospitava il tempio del nume tutelare del villaggio. Il nome del duca, e dunque del villaggio, riconducono al lessema nordico Mehl, termine che significa farina. Non sembri cosa poco importante la constatazione che durante il pranzo, prima di mettere mano al cibo, i Tedeschi pronunciano la frase mahl zeit, l’equivalente del buon appetito pronunciato da noi Italiani. Il lessema Mehl lo si ritrova inciso in un blocco di pietra arenaria ritrovato in Svezia nella città di Tune datato intorno al 500 circa. Nelle tre righe dell’epigrafe runica un sacerdote si autodefinisce il custode della farina, Mehl. Poiché il cognome Mele è comunissimo nel territorio di Bronte e Maletto è possibile dedurre che il nome o forse l’epiteto, sia diventato il titolo nobiliare attribuito al duca di Maletto  e che in Illo tempore fosse stato utilizzato per indicare in genere un “benefattore o elargitore del pane” o, se vogliamo seguire la tradizione ariana dell’Avesta, il libro sacro degli Irani, l’ordinatore, poiché in esso viene testualmente affermato: ”Colui che diligentemente semina il grano, o Spitama Zarathustra, colui che semina il grano, edifica l’ordine”. Se poi, la vicina cittadina di Randazzo corrispondesse, come ipotizzato dagli studiosi, alla Tissa citata da Cicerone nelle verrine, avremo che nella lingua germanica il termine significherebbe tavola, mensa (Tisch in tedesco)

Acropoli di Maletto. Nella valle sottostante è stato eretto il vallo per una lunghezza di quasi tre chilometri.Tornando al toponimo Cuntarati con cui si è denominata la contrada su citata, alla luce di quanto detto sopra a proposito del rinvenimento della stele runica in Svezia, nazione in cui vi è una regione denominata Gotland dalla quale provengono i Goti, vi si potrebbe azzardare una ulteriore ipotesi interpretativa considerando che il toponimo Guntarati possa indicare un etnico. Infatti, il prefisso ku o Gut potrebbe riferirsi al popolo dei Goti. Essi vengono denominati dagli storici antichi, ora utilizzando l’etnico di Gutei ora quello di Kutei. Il lessema tarn che segue al nome di Gutei, significa celare, nascondere, pertanto il toponimo Ku-tarn potrebbe indicare un luogo ove una minoranza di Goti avrebbe potuto trovare ricovero, nascondersi o celarsi. In questo caso potremmo ipotizzare che il toponimo avesse trovato applicazione nel periodo che vide i Normanni (di origine scandinava) opporsi ai Saraceni che avevano occupato l’isola. Il nome della contrada potrebbe derivare, altresì, dal nordico kunun con il significato di re e tarn indicando un luogo dove sarebbe stato un re a trovarvi ricovero. Anche per ciò che concerne il termine Mehl farina, pane, riteniamo che le ipotesi sul suo significato potrebbero essere diverse. Esso potrebbe essere stato utilizzato in chiave metaforica per sottintendere un nutrimento spirituale. Infatti il termine va a comporre, tra gli altri, il nome del sacerdote Melkisedek colui che iniziò Abramo proprio utilizzando ritualmente il pane. Non passerà inosservato neppure l’utilizzo del pane quale mezzo rituale, di cui si serve il principe ittita Labarna. Ma per ciò rinviamo, chi ne avesse interesse, al nostro saggio, disponibile gratuitamente sul  sito di miti3000.eu: “Il paganesimo di Gesù”.

Ad majora.

[1] Ducezio, una ventina di anni prima che la guerra del Peloponneso si spingesse fino in Sicilia, si trovava in esilio in Grecia, a Corinto. Qui, essendo libero di muoversi,  ebbe intensi rapporti con le famiglie più ragguardevoli di Atene. Abbiamo buoni motivi per affermare che in questa fase il duce siculo concordasse con gli Ateniesi una strategia militare comune che li vedesse futuri alleati in una campagna militare condotta contro i Siracusani. Questi accordi diedero buoni motivi agli Ateniesi per intervenire nei fatti siciliani nonostante la prematura morte del duce, poiché in Sicilia avrebbero potuto, comunque, ancora contare sull’alleanza del potente principe siculo Arconide (lib. VII,1) il quale aveva collaborato con Ducezio nel sostenere la causa sicula e che al suo ritorno dall’esilio lo aveva aiutato a fondare Kalè Aktè.

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